Pisa
A Palazzo Blu il “Cristo e la samaritana al pozzo ” di Artemisia Gentileschi
Domani alle 17 il dipinto sarà presentato nelle sue sale con un seminario aperto al pubblico, e da venerdì 18 fino al 20 novembre il quadro sarà visitabile gratuitamente all’interno della collezione del museo nel consueto orario di apertura
Il museo di Palazzo Blu a Pisa si arricchisce di una tela di Artemisia Lomi Gentileschi (1593-1652/1656) di grandi dimensioni, quasi tre metri d’altezza, in uno straordinario stato conservativo, dipinta durante il lungo e produttivo soggiorno napoletano della celebre pittrice. Lo ha reso noto il museo pisano precisando che «domani alle 17 il dipinto, Cristo e la samaritana al pozzo sarà presentato nelle sale di Palazzo Blu, con un seminario aperto al pubblico». Poi da venerdì 18 fino al 20 novembre il quadro sarà visitabile gratuitamente all’interno della collezione del museo nel consueto orario di apertura (venerdì dalle 10 alle 19; sabato e domenica dalle 10 alle 20).
Identificata anni fa da Luciano Arcangeli, l'opera d'arte fu valorizzata in occasione delle due importanti rassegne sulla pittrice romana curate da Roberto Contini e Francesco Solinas, a Palazzo Reale di Milano nel 2011 e a Parigi nel 2012.Questa è stata poi acquistata dalla Fondazione Pisa nella tarda primavera di quest’anno e sottoposta a un accurato intervento di pulizia e restauro. Dipinta a Napoli tra il 1636 e il 1637, l’opera passò nelle raccolte napoletane e siciliane dei nobili Ruffo, poi prima del 1680 il dipinto giunse a Palermo nella collezione del Duca di Sperlinga dov'è rimasta sino al XX secolo. Il dipinto è descritto da Artemisia Gentileschi in due lettere dell’autunno 1637 indirizzate al cavalier Cassiano dal Pozzo, suo estimatore e protettore alla corte di Roma.
Tramite lui, l’artista offriva la Samaritana ai fratelli cardinali Francesco e Antonio Barberini, nipoti del papa regnante Urbano VIII; tuttavia il grande quadro non fu mai acquisito dai prelati e rimase nella bottega napoletana dell’artista sino alla vendita, probabilmente dopo il ritorno da Londra, primavera 1641. Opera rara ma documentata sin dalla sua creazione – come solo alcuni dipinti relativi al soggiorno fiorentino (1613-1620) – vanta uno straordinario pedigree collezionistico e fu censita nel 1680 nell’inventario post mortem dell’imprenditore e uomo d’affari genovese Giovanni Stefano Oneto duca di Sperlinga.
Molti critici hanno fornito una lettura delle opere della Gentileschi in chiave «femminista». Il percorso biografico della pittrice si è dipanato infatti in una società dove la donna rivestiva un ruolo subalterno, e quindi miseramente perdente: nel Seicento, dopotutto, la pittura era considerata una pratica esclusivamente maschile, e la stessa Artemisia, in virtù del suo sesso, dovette fronteggiare un numero impressionante di ostacoli e impedimenti.
Basti pensare che, essendo una donna, la Gentileschi era impossibilitata dal padre a interrogare il ricchissimo patrimonio artistico romano e fu costretta a rimanere tra le mura domestiche e, anzi, le veniva spesso rimproverato di non dedicarsi alle attività domestiche, attese dalla quasi totalità delle ragazze del tempo. Nonostante ciò, la Gentileschi diede brillantemente prova della sua indole fiera e risoluta e seppe far fruttare il proprio versatile talento, riscuotendo in breve tempo un successo immediato e di altissimo prestigio. Questi «successi e riconoscimenti» osservano, infine, i critici Giorgio Cricco e Francesco Di Teodoro «proprio in quanto donna, le costarono molta più fatica di quanta ne sarebbe stata necessaria a un pittore maschio».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA