la storia
Vi racconto la mia vita da pusher “senza scampo” a Catania
Spacciatore, tra incassi e pericoli: «Consegne a domicilio sette giorni su sette»
Crescere a pane e droga. E “vivere” spacciando. Come se fosse un mestiere come un altro. Un vortice impetuoso da cui uscire diventa quasi impossibile. Si rimane incagliati nella rete alimentati dall’alibi di non trovare un «lavoro normale». Quei soldi, tanto facili quanto avvelenati, “servono” per pagare l’affitto, portare ogni giorno un lauto pranzo a casa, assicurare i regali sotto l’albero ogni Natale ai bambini. Alla fine però le manette arrivano. «Da quelle non hai scampo», dice un pusher di “professione” a La Sicilia in una lunga intervista confessione.
I fattorini della droga sono arrivati a Catania ancora prima della pandemia e dei rider di Just-Eat. «Faccio consegne a domicilio di marijuana dal 2017», racconta lo spacciatore. È nato in un rione popolare di Catania, le «cattive amicizie» lo hanno portato a fare scelte «sbagliate» fin da giovanissimo. Non ha nemmeno quaranta anni e la sua fedina penale non è certo immacolata. Il primo «arresto», poco più che maggiorenne, risale al »2001». Una rapina a un supermercato. Faceva il palo. Lo hanno preso e ha scontato la condanna. Ma ci è ricascato. Stavolta con lo spaccio. Lo ha introdotto «nello smercio» di «erba» un familiare. Ha fatto sempre il pusher: l’ultima linea della filiera della droga, quella più a “rischio manette”.
«Ho cominciato in una piazza di spaccio in via Dusmet. Vendevamo dosi a turni. Io di solito facevo quello dalle 3 alle 9 di sera». Durante quel periodo l’hanno arrestata? «Sì, mi hanno preso e sono finito ai domiciliari». Una sequenza di eventi che si ripete come un loop inesorabile: spaccio e manette. Nel frattempo ha conosciuto una donna con cui è andato a convivere e sono arrivati i figli: quattro in totale. «Il più grande ha 8 anni, il più piccolo un anno e mezzo. Adesso che io sono ai domiciliari vivono in comunità con la madre».
Da pusher di “piazza” a domicilio. Un cambiamento di “ruolo” che forse pensava lo avrebbe tenuto lontano dai radar delle forze dell’ordine. Una chimera. I carabinieri hanno notato quel volto conosciuto andare tutti i giorni in bici e si sono insospettiti. «Non c’è scampo», lo ripete – come un triste ritornello – a ogni racconto della sua vita “da spacciatore”. La sua storia diventa un po’ il ritratto di uno spaccato – drammatico – di Catania. dove la “domanda” di sballo tra ventenni è altissima. Il capoluogo etneo è l’archetipo di qualsiasi altra città metropolitana siciliana. E, forse, non solo siciliana.
«Non ho mai avuto legami con la malavita organizzata. Quel tipo di contatti – spiega il 39enne – li teneva il “mio capo” per le forniture. Il mio gruppo, che però è autonomo e slegato ai clan, era composto da tre persone: io che facevo le consegne, chi “amministrava” tutto, teneva la marijuana e preparava le dosi – aveva un garage per questo tipo di “lavoro”- e poi un terzo che mi diceva dove andare a portare l’erba. Il mio turno cominciava alle 3 e finiva alle 9 di sera. Andavo a casa del mio “capo “ a prendere la droga e andavo in bici a spacciare. Per ogni turno ero pagato 100 euro al giorno, che in un mese diventavano oltre 2500 euro». Questa una “giornata” tipo, che si ripeteva ogni giorno.
Il sistema per farsi arrivare la “dose “ direttamente a casa, senza il pericolo – andando a rifornirsi in strada – di poter essere beccato da qualcuno in divisa con relativa segnalazione “da assuntore” alla Prefettura, è relativamente semplice. Basta un numero di cellulare a cui fare una telefonata o mandare un messaggio (magari attraverso le più moderne chat social) e fare il relativo ordine. Magari indicando anche l’orario. «Alle tre meno un quarto di solito avevamo già tutto il giro di consegne da fare nel turno». Naturalmente c’è un tariffario preciso: «Un grammo di marijuana costa 10 euro, 2 grammi 20 euro, 5 grammi 50 euro». Il giro di soldi è davvero fuori da ogni possibile previsione. «Riuscivo a vendere dai 200 ai 300 grammi di marijuana a ogni turno. Sono circa 20 consegne al giorno».
E facendo i conti con il listino dei prezzi “gli introiti” sono vertiginosi. Un “fatturato” da fare invidia a qualsiasi piccola e media impresa. «Io incassavo i soldi di ogni consegna. A fine giornata facevo 1700-1800 euro che dovevo portare al mio capo». Usando il pallottoliere è facile arrivare al turnover. «Chi è nel giro, sta bene». E molte volte – rimanendo a gestire da dietro le quinte – riesce anche ad evitare la galera.
Le “zone” più gettonate coperte dal “pusher” intervistato sono «Picanello, via Vittorio Veneto, via Napoli, via Verona. I clienti per la maggior parte erano quelli che noi chiamiamo “figli di papà”, quasi tutti studenti universitari dai 18 ai 22 anni. Ma è capitato che facessero ordini a domicilio anche 30enni e 40enni. Molte volte ho fatto consegne quotidiane alle stesse persone, sempre giovani». Clienti abituali che, giornalmente, passano i pomeriggi a “fumare”. «Universitari per lo più». Il pusher ha una regola: «Ai minorenni, per una scelta precisa, però ci siamo sempre rifiutati». Da questa affermazione si comprende però che “la domanda” è ponderante anche nella fascia under diciotto.
La consegna a domicilio, in alcune occasioni, è la “scelta” per poter assicurare la scorta in caso di eventi particolare. Come “festini” a casa. «È capitato che portavo delle dosi anche a dei compleanni», racconta.
L’ultima consegna è avvenuta in estate. «Come avveniva a ogni turno, sono andato a prendere la droga per fare le consegne, appena sono uscito dal palazzo mi hanno fermato e hanno trovato 28 grammi di marijuana nella tasca» . I carabinieri lo hanno arrestato, la seconda volta nel giro di poco tempo. Questa volta non sono arrivati i soliti domiciliari da dove entra e esce almeno da 8 anni. «Il 12 giugno mi hanno portato direttamente in carcere».
Un’esperienza che lo avrebbe fatto decidere di uscire – finalmente – dal vortice. «È stato un incubo – mormora il catanese – ho deciso di andare a parlare dal magistrato per cambiare vita. Io un mestiere ce l’ho: aiuto cuoco o cameriere. Se serve andare via da Catania – anzi forse è meglio per evitare di ricadere nello stesso errore – andrò via. Voglio ricominciare, soprattutto per i miei quattro bambini». Prima di staccare, parte una richiesta: «Vorrei dire una cosa a chi si trova in difficoltà: fatevi aiutare da qualcuno, è vero con lo spaccio si ottengono soldi facili, ma alla fine si finisce in gattabuia». E ripete il suo mantra :«Non c’è scampo».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA