Arriverà nel porto di Augusta il relitto del natante carico di migranti che un anno fa ha fatto naufragio a largo della Libia, causando oltre 700 vittime, per quella che è considerata la più grande tragedia nel Mediterraneo fra i viaggi della speranza.
Il peschereccio è stato recuperato a circa 400 metri di profondità. La notizia è stata confermata anche dalla Procura di Catania, titolare dell’inchiesta, che spiega come la “Marina militare avvalendosi di apparecchiature messe a disposizione da una ditta all’uopo incaricata, provvederà al recupero dell’imbarcazione affondata e delle salme che giacciono all’interno”.
Il recupero del barcone è gestito da strutture governative, con il ministero della Difesa in prima linea, in coordinamento con strutture locali. Secondo quando si apprende, il natante recuperato, dopo l’arrivo nel porto di Augusta, dovrebbe essere sollevato con un pallone aerostatico e spruzzato con dell’azoto liquido per la conservazione e infine trasferito in un capannone.
In una nota la Procura distrettuale di Catania, titolare dell’inchiesta sul naufragio, avvenuto il 18 aprile 2015, ricorda che “proprio in questi giorni, peraltro, sta per iniziare l’ultima e più impegnativa fase delle operazioni di recupero delle salme dei migranti e dell’imbarcazione naufragata”.
“Infatti, tali operazioni volte per motivi umanitari dal Governo Italiano e delegate alla Marina militare e all’ufficio del Commissario straordinario per le persone scomparse – sottolinea il procuratore Michelangelo Patanè – sino ad oggi hanno consentito il recupero di 169 salme, e in quest’ultima fase, la Marina Militare, avvalendosi di apposite apparecchiature messe a disposizione da una ditta incaricata, provvederà al recupero dell’imbarcazione affondata e delle salme che giacciono all’interno”.
Un recupero complesso e articolato, ammette la stessa Procura di Catania nel riconoscere “il ruolo di punto di riferimento per il Governo italiano della Marina Militare per l’approntamento delle modalità di intervento”. “È previsto – spiega il procuratore Patanè – il ricorso a tecnologie avanzate, e un coordinamento per le complesse attività di recupero: basti pensare che il relitto è affondato a una profondità di circa 370 metri e che le centinaia di salme, ancora in esso imprigionate da un anno, devono essere recuperate senza compromettere la pubblica igiene e l’incolumità degli operatori”.
La Procura distrettuale di Catania ricorda che in seguito al naufragio aveva subito avviato indagini e, sul piano dell’inchiesta, “al fine di accertare con esattezza la dinamica del sinistro, inoltre, con l’indispensabile ausilio della Marina Militare, era stata effettuata un’ispezione subacquea del relitto