«Si definisce una prognosi negativa rispetto alla possibilità che la signora Panarello Veronica possa esercitare una adeguata capacità genitoriale». Sono le conclusioni dei periti del Tribunale dei minori di Catania, che venerdì mattina sarà chiamato a decidere se la donna accusata di avere ucciso il figlio Loris Stival, a prescindere dall’esito del processo, è in grado di esercitare al meglio il ruolo di genitore del secondogenito. Parole pesanti come macigni. Traduzione: Veronica non può più fare la mamma dell’altro fratellino.
Non lascia margini di dubbio, la perizia super partes che è da qualche giorno sul tavolo di Maria Francesca Pricoco, presidente del Tdm di Catania e giudice rogante nella causa per l’affidamento dell’altro figlio minorenne di coniugi Stival, oltre che presidente del collegio che dovrà stabilire la capacità genitoriale della ventisettenne di Santa Croce Camerina. Il bimbo, dal giorno del fermo di Veronica, è affidato al padre Davide Stival e alla nonna paterna Pina Aprile. Una scelta che, alla luce della relazione dei periti del Tribunale (Domenico Micale, Jose Prezzemolo e Francesco Vitrano) dovrebbe essere confermata. Anche se nell’udienza di venerdì si saprà come e quanto il giudice integrerà le conclusioni dei suoi periti con le relazioni dei consulenti di parte: Pietro Pietrini e Giuseppe Sartori (per la moglie, nominati dall’avvocato Francesco Villardita); Maria Costanzo e Giuseppe Catalfo (per il marito, nominati dal legale Daniele Scrofani).
Per i periti del tribunale si arriva alla conclusione che, «pure in assenza di una patologia psichiatrica definita», sembra «evidente» che lo «stile di funzionamento psichiatrico» della donna «non le permette di costruire legami se non improntati alla «discontinuità», alla «ambivalenza affettiva» e alla «autoreferenzialità» e a «scelte non adeguatamente mentalizzate». A questo esito gli specialisti arrivano dopo una lungo e approfondito confronto con Veronica, che nel corso delle sedute «non ha espresso alcuna concreta possibilità di riattivare un processo di risignificazione della sua funzione materna» anche perché continua a esprimere «un’immagine di sé positiva e mai velata da un sentimento di dubbio».
Insomma: la mamma di Loris non sarebbe capace di ricostruire un ruolo materno. Tanto più che, si legge in un passaggio della perizia, la donna – neppure «attraverso un intervento di sostegno psicoterapeutico» – ha evidenziato «alcuna motivazione a intraprendere» un «suo processo di elaborazione/risignificazione degli eventi», né un suo «percorso di cambiamento del sistema di attribuzione dei significati esperienziali».
Per questi motivi (ma anche per l’esito degli incontri con il minore conteso e con i familiari, da cui si traccia il bilancio delle «esigenze di recupero» ma anche di «progettualità» sul fratellino di Loris), i periti sostengono che c’è più di un aspetto che non consente a Veronica di «esercitare un’adeguata funzione genitoriale tale da sintonizzarsi concretamente sulle esigenze anche riparative» del piccolo.
Ma se Veronica acconsentisse a farsi aiutare? Anche in questo caso la risposta è negativa. Poiché, sostengono i periti, anche «un eventuale percorso di presa in carico e di aiuto finalizzato alla costruzione delle proprie capacità e competenze affettivo/genitoriali» sulla madre di Loris avrebbe comunque «possibilità di riuscita molto limitate». Per ragioni alquanto serie: dalla sua «disorganizzazione affettiva» alla «incapacità strutturale di fidarsi e affidarsi all’altro», ma anche a causa di una «diffidenza nelle motivazioni degli altri» e di una «tendenza all’autoreferenzialità».
Tutti aspetti che portano, irrevocabilmente, alla «prognosi negativa su un possibile recupero della funzione genitoriale».
Non è il finale. Ma poco ci manca.