CATANIA – «Dopo tutto quello che la Procura di Messina ha fatto sulla vicenda Siracusa, tutto mi sarei aspettato fuorché essere considerato un rivelatore di segreti o un insabbiatore di fascicoli». È questo l’unico commento che si riesce a strappare a Vincenzo Barbaro. Il procuratore generale di Messina, sentito come persona informata sui fatti dai pm di Perugia nell’ambito dell’inchiesta su Luca Palamara, mantiene il più stretto riserbo su dettagli sui quali c’è un’indagine in corso, a conferma di un rigore che è della persona prima che del magistrato.
Sono i fatti e gli atti, però, a mostrare l’estraneità del magistrato e della magistratura messinese rispetto alla fuga di notizie della quale è, fra le altre cose, accusato l’ex presidente dell’Anm e consigliere del Csm Luca Palamara. E in effetti da una attenbta rilettura degli atti di indagine disponibili e della relazione del Gico in raffronto alla cronologia delle vicende effettivamente accadute, il Procuratore Generale Barbaro e la magistratura messinese non possono essere rappresentati in termini ingiustificatamente severi, come invece poteva indurre l’accostamento nel titolo di un nostro precedente articolo, tra la situazione della Procura di Siracusa e di quella di Messina, che all’epoca non erano in alcun modo comparabili, tantomeno accomunandole con il termine “verminaio” , che con efficace sintesi giornalistica bene si riferisce piuttosto al recente passato degli uffici giudiziari di Siracusa e alla intricata vicenda del caso Palmara, troppo importante per tacerne .
Ma passiamo ai fatti.
A partire dai vertici che Barbaro, all’epoca procuratore facente funzione di Messina, ha con i colleghi di Roma, menzionati dall’avv. Amara come occasioni in cui Barbaro e Palamara si sarebbero scambiati informazioni riservate. In realtà, nel primo, del 14 febbraio 2017, il dott. Barbaro si reca nella capitale assieme ai colleghi, i sostituti Antonio Carchietti e Antonella Fradà. Nel secondo, il successivo 15 marzo, dal verbale risulta che l’oggetto dell’incontro, a differenza del primo, non sono né Fabrizio Centofanti né Giancarlo Longo, ma altre questioni.
Comunque, come risulta da una mail intercettata a Longo già il 9 marzo, l’ex pm di Siracusa si lamenta del fatto che i militari della Gdf nel corso di una perquisizione presso la sua abitazione «non avrebbero ritenuto di acquisire copia della ricevuta con la quale il 5 gennaio 2014 avrebbe restituito in contanti al suo amico Centofanti le somme da questi anticipate con la sua carta di credito per il viaggio a Dubai». Quindi Longo dimostra certamente di sapere già prima del 15 marzo delle indagini della Procura di Messina. Tanto più che la perquisizione all’imprenditore, nel corso della quale è stata rinvenuta la copia dei pagamenti della carte di credito, con relative causali, da lui eseguiti in favore delle famiglie Centofanti, Amara e Longo per il viaggio e soggiorno a Dubai, risale al 20 luglio 2016. Dunque, Centofanti, già prima prima dell’inizio delle indagini a Messina, era a conoscenza del fatto che gli investigatori avevano saputo dei suoi rapporti con Longo.
Un altro punto rilevante riguarda gli incontri fra il Procuratore Generale e Palamara. Barbaro non aveva bisogno di incontrare “riservatamente” Palamara il 15 marzo, poiché, per tutta la giornata del 16 marzo, era stato al Csm perché convocato per la partecipazione a un corso di aggiornamento sull’organizzazione delle Procure, in cui Palamara, addirittura, era uno dei relatori.
Il nodo più importante, comunque, è la qualità delle indagini della Procura di Messina. Barbaro non avrebbe mai potuto dire «tutta fuffa» oppure «fino a che ci sono stato io non è successo nulla, poi è arrivato De Lucia ed è successo quello che è successo». Dalle chat con i colleghi titolari del fascicolo risulta infatti la determinazione posta in essere dalla Procura per arrivare a risultati, anche alleggerendo il carico di lavoro dei sostituti titolari delle indagini. Nel giro di 10 mesi circa (ottobre 2016-luglio 2017) sono stati riaperti decine di fascicoli processuali già definiti, ribaltatate le risultanze di procedimenti amministrativi, di processi davanti al Cga , di processi civili, di procedure tributarie e promosse da agenzia delle entrate, di procedure con Soprintendenza, di decine di processi penali, legittimando così la successiva richiesta cautelare formulata dalla Procura di Messina ad ottobre.
Infine, nessuna coincidenza temporale fra un incontro con Palamara e l’esposto al Csm di Cateno De Luca. Barbaro ha appreso dell’esistenza dell’esposto dell’attuale sindaco di Messina dagli atti processuali depositati a Reggio Calabria a seguito della richiesta di archiviazione relativa a denunce sporte dallo stesso politico. Perciò, solo con istanza del 20 aprile 2020, il Pg di Messina ha chiesto al Csm copia dell’esposto che è stata rilasciata il successivo 5 maggio; pertanto ha potuto sporgere querela per il contenuto dell’esposto soltanto in epoca successiva; così come in epoca successiva al luglio 2020 ne ha fatto menzione nel corso del giudizio civile instaurato sempre nei confronti di De Luca ed altri.
Se dunque c’è mai stato un “verminaio”, questo non riguarda certo il dott. Barbaro né la magistratura messinese.