Valle dei Templi, l’Ente Parco vieta i souvenir “mafiosi”

Di Gioacchino Schicchi / 28 Agosto 2015

AGRIGENTO. Ci sono tazzine da caffè con i manici a forma di pistola, statuette di Marlon Brando in smoking, targhette di “The Godfather”, film noto in Italia come “Il Padrino”, e le immancabili – e dozzinali – figurine de “U mafiusu”, con un omino dalla pelle scura, un robusto baffo nero, la coppola e l’immancabile “lupara” a tracolla, accompagnato in genere da una “mafiusa”, anch’essa con caratteri fisici che, nell’intenzione, dovrebbero richiamare la Sicilia e i siciliani. Quantomeno quelli dipinti nelle peggiori caratterizzazioni. La Sicilia che non si vuole bene è tutta lì, tra le cartine, i libri di storia e piccoli gadget per i turisti, venduti dinnanzi l’ingresso della Valle dei Templi di Agrigento così come in migliaia di negozietti di chincaglieria turistica dislocati in tutta l’Isola. Una situazione che però, adesso, almeno nel parco archeologico agrigentino, dovrebbe cambiare. Dopo che nei giorni scorsi Radio Cento Passi ha lanciato, sul sito on line “change. org”, la campagna “Io non sono mafioso” per chiedere “la nascita di leggi che vietino l’esistenza di attività in Italia e in Europa che richiamino simboli di mafia e proibiscano la vendita e la produzione di prodotti che disinvoltamente esaltino le mafie, denigrino i simboli dell’antimafia, diffondendo così la cultura dell’illegalità”, almeno nella Valle di Templi si è voluto raccogliere l’invito. «Abbiamo avuto modo di conoscere l’iniziativa dai media – spiega il direttore del Parco, l’architetto Giuseppe Parello – e siamo pronti fin da subito a sostenerla. Se all’interno dell’area della Valle nessun gestore dei servizi aggiuntivi commercializza già prodotti di questo tipo, adotteremo delle misure di tipo amministrativo per chiedere che lo stesso facciano tutti i rivenditori di gadget turistici nelle aree limitrofe date in concessione dal Parco. Credo sia un piccolo gesto che ha comunque una doppia valenza, quella di affermare la totale estraneità a qualunque versione, anche quella più grottesca, dell’apologia del fenomeno mafioso e anche, di proporre della Sicilia la giusta immagine».

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