CATANIA.- Bisognerebbe, tanto per cominciare, cercare di capire da chi e da cosa bisogna guardarsi. Dai truffatori? Dai taroccatori?
Dai sofisticatori? Dagli importatori clandestini? Oppure da certe leggi e da alcune normative, prevalentemente comunitarie, che hanno finito con il legittimare una serie di operazioni giudicate sino a ieri inesorabilmente sporche?
Converrà guardarsi dai primi e dalle seconde, con uguale attenzione, perché se no non si spiegherebbe questa invasione che ha trasformato la Sicilia in un porto franco, o quasi. Mentre a Catania la battagliera prefetta Maria Guia Federico chiama a raccolta quattro suoi colleghi della Sicilia orientale, associazioni di categoria, magistratura e politica per fare fronte comune contro le infiltrazioni della mafia nell’agroalimentare, basta trascorrere una giornata con gli uomini del Corpo Forestale della Regione e con quelli dell’Ispettorato centrale per la qualità e la repressione delle frodi (Icqrf) per avere un quadro preciso di una situazione tendente al drammatico. L’ispettore ripartimentale del Corpo, Antonino Lo Dico e il comandante del reparto operativo, Luca Ferlito, raccontano storie legate a tre anni di intensa attività che ci restituiscono un’immagine chiarissima.
Che cosa entra in Sicilia di illecito, poco lecito o sofisticabile con pochi accorgimenti? Di tutto.
Dice il comandante Lo Dico: «Con i nostri uomini, in collaborazione con l’Icqrf, negli ultimi mesi siamo stati già un paio di volte al mercato di Vittoria, al Mas di Catania, ma abbiamo anche controllato esercizi commerciali nel centro delle città, a Catania in collaborazione con i vigili urbani dell’annonaria. E i controlli li abbiamo estesi ad aree portuali, soprattutto a quelle più importanti. E sorprese ce ne sono state tante».
Diciamo sorprese. Il comandante Ferlito entra nel dettaglio. «In Sicilia, effettivamente, arriva di tutto. Uno degli ultimi sequestri ha riguardato due camion carichi di uova, 18 mila chili in tutto, provenienti dall’Est Europa. Abbiamo fermato i mezzi, sono in corso controlli sulla merce e, soprattutto, sulla sua destinazione».
Già, perché il sospetto, in questo come in tanti altri casi, è che aziende locali importino merce che costa molto meno di quella locale, poi la riconfezioni e quelle arrivate magari dalla Croazia, diventino ovette delle gallinelle delle nostre fattorie.
«Sequestri molto frequenti – aggiunge Lo Dico – riguardano pistacchi. L’ultimo è stato un carico di 16 mila chili, proveniente dalla Turchia. Intendiamoci, l’importazione è assolutamente legale, così come lo è l’utilizzazione della merce quando viene realizzato un prodotto che contiene anche quel pistacchio. La legge lo consente. Ciò che ci permette di intervenire e sequestrare eventualmente merce, è quando nelle etichette chi commercializza usa chiare evocazioni che fanno credere ad un prodotto tutto siciliano. In un caso, non molto tempo fa, abbiamo anche fatto scattare la chiusura di un’azienda che aveva realizzato un prodotto al pistacchi pubblicizzandolo con la scritta «Sfiziosità dell’Isola». Peccato che quel pistacchio fosse siriano». Insomma si gioca a fregare il consumatore.
Altra merce che va per la maggiore è l’olio. E quanto ne arriva dalla Tunisia .Anche qui tutto in regola? «Tutto in regola – spiega Ferlito – sino a quando il consumatore non viene anche qui ingannato da etichette molto equivoche. Produttori che cercano di risparmiare, infatti, mescolano olio siciliano e olio tunisino che viene a costare tra 1,30 e 1,40 euro. Mescolato e imbottigliato finisce sugli scaffali dei supermercati a 2,80 euro al litro, massimo 3, mentre produrre un litro del nostro olio, la sola produzione dico, non costa meno di 5/5,50 euro. Chiaro che la qualità sia diversa, ma chi lo compra o lo usa non lo sa».
Non lo sa perché chi lo imbottiglia nelle etichette stampa un bel “miscela di oli mediterranei”. E che puoi contestare a quel punto, anche la Tunisia è Mediterraneo, altro che. Ma si sequestra di tutto in Sicilia. Al Mas di Catania il Corpo forestale, nel corso di un controllo, ha trovato anche un carretto di arance rubate.
Sono stati intercettati 17 mila chili di patate tedesche, poi un carico di patate francesi, arance spagnole che circolavano con “documenti” italiani.
Non manca quasi, dunque. Il Corpo Forestale vorrebbe intensificare la sinergia con l’Agenzia delle dogane, allargare l’orizzonte dei controlli e stringere di più le maglie. Perché bisognerebbe avere un esercito per battere a tappeto campagne e imprese, perquisire navi e tir. Salvo poi a scoprire la domenica mattina che anche nei mercatini “chilometro zero”, ormai tanto amati e tanto alla moda, i produttori vendono roba che nel migliore dei casi non hanno prodotto loro. E in altri di chilometri ne ha fatti qualche migliaio.