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Università Bandita, l’investigatore in Tribunale a Catania: «Ecco come ho scoperto i concorsi truccati»

Il poliziotto della Digos che dal 2016 al 2017 ha “monitorato” il sistema nell’Ateneo etneo è stato esaminato dai pm Raffaella Vinciguerra e Santo Di Stefano nell’ambito del maxi processo

Di Laura Distefano |

L’ora X è scattata. L’investigatore della Digos che dal 2016 al 2017 ha “monitorato” il sistema concorsopoli nell’Ateneo catanese è stato esaminato ieri, a Bicocca, dai pm Raffaella Vinciguerra e Santo Di Stefano nell’ambito del maxi processo Università Bandita. 

Un’audizione che gli ex rettori e imputati Francesco Basile e Giacomo Pignataro non si sono voluti perdere. E infatti hanno assistito (c’era anche l’ex procuratore Enzo D’Agata con figlia) all’udienza fiume in cui il vicequestore Claudio Pucci, in veste di ex dirigente della sezione investigativa della Digos (oggi dirigente all’Ufficio Immigrazione), ha definito i contorni di un’indagine che ha scoperchiato il sistema – secondo la Procura – dei bandi “studiati a tavolino”. Le cimici sono arrivate negli uffici dei vertici accademici per un effetto domino che forse nessuno avrebbe potuto immaginare. Dobbiamo andare indietro nel tempo: in procura tra il 2015 e 2016 le denunce incrociate di Giacomo Pignataro e Federico Portoghese (all’epoca rispettivamente rettore e direttore generale) e Tony Recca e Lucio Maggio (ex rettore e dg).

Mentre gli investigatori della Digos hanno cercato di vederci chiaro su quanto messo nero su bianco negli esposti, hanno svelato il mondo sotterraneo della gestione dei concorsi. Mentre l’inchiesta andava avanti e le microspie registravano Pignataro è decaduto dalla carica di rettore ed è cominciata la campagna elettorale che si è conclusa con la nomina di Francesco Basile. Ma su quanto emerso nell’inchiesta in questo lasso di tempo il poliziotto non ha potuto approfondire in quanto è oggetto del reato associativo da cui gli imputati coinvolti sono stati prosciolti. Anche se va ricordato è pendente il ricorso dei pm sulla decisione della gip Marina Rizza. 

Pucci prima di entrare nel dettaglio di ogni singolo capo di imputazione (ne ha descritti 24 su 43) ha spiegato alcune metodologie che sarebbero state messe in campo per poter indire i “concorsi” finiti nei radar dei poliziotti. Il teste ha spiegato che potevano esserci tre tipologie di bandi: per tutti, solo per gli interni di Unict o riservato agli esterni. Il Ministero – ha chiarito Pucci – assegna «alle università le risorse economiche per poter chiamare i posti» e in base a chi è il vincitore assegna un punteggio che corrisponde a un budget. Se il ruolo di professore ordinario è assegnato a un associato (interno) questo vuol dire che si deve fare solo un’integrazione economica in quanto già il docente riceve uno stipendio dall’Ateneo. E questo permette di poter avere più manovra per indire altri bandi perché ci sono ancora fondi a disposizione. E quindi permettere “avanzamenti di carriera interni”. Studiata bene la legge avrebbero trovato il modo di applicarla a “vantaggio” del “sistema”. Pucci tornerà in udienza il prossimo 20 febbraio. Ci sono ancora 19 capi d’imputazione da “analizzare”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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