Catania
Un intrigo nazionale dietro Pubbliservizi tra i rapporti con Lotti e Verdini e il pressing (vano) su Bianco
L’ex presidente: «Piazzai al vertice la compagna del magistrato Musco per la mia carriera»
E così, mentre il buco di Pubbliservizi diventa una voragine, sul malandato carrozzone pubblico (e sulla pelle dei dipendenti) si consumano trame e intrighi degni di House of Cards. Assunzioni, carriere, pulsioni politiche, raccomandazioni. Tutto, ça va sans dire, sotto l’alone protettivo della legalità e dell’antimafia di facciata.
Il “pentimento” di Messina
Adolfo Messina, alfiere etneo della rivoluzione crocettiana poi ammaccato – fra finte minacce e vere mazzette – dalla giustizia, sembra quasi muovere i primi passi vero il pentimento, se non addirittura la redenzione. Si autoaccusa, ma soprattutto chiama in correità Chiara Rapisarda, da lui stesso piazzata al vertice amministrativo di Pubbliservizi. La nominò direttore generale, confessa nel verbale di dichiarazioni spontanee del 29 gennaio 2018, perché «mi era stata segnalata dalla di lei madre», ovvero Teresa Sodano, ex sindaco di Giarre, non indagata, che «per perorare tale segnalazione si era recata presso il mio ufficio». Una stanza in cui, ottenuta la nomina, Rapisarda si sarebbe «più volte presentata» assieme all’allora compagno, l’ormai ex magistrato Maurizio Musco. Che risulta estraneo all’indagine così come – lo precisiamo una volta per tutte, anche per evitare ridondanti ripetizioni – tutti gli altri citati da qui in poi. Così Messina prova ad accontentare tutte le richieste della dipendente. «Io mi rendevo conto che stavo esagerando nell’erogare somme a beneficio della Rapisarda, ma facevo questo – confessa l’ex presidente – perché avevo il “pallino” della carriera politica e sapevo che tramite il suo appoggio avrei potuto ambire alla candidatura nelle liste nazionali del Partito democratico in un collegio sicuro, nonché un incarico all’interno di un Cda di qualche ente dello Stato, in attesa che vi fosse la competizione elettorale successiva».
La tela tessuta per i rapporti romani
E dunque Messina, «grazie all’appoggio della Rapisarda» e «tramite il suo compagno Musco» comincia a tessere la sua tela di rapporti romani «per interloquire con i vertici nazionali del Pd». Ricorda in particolare un pranzo alla “Pescheria Rossini”, ai Parioli, in cui, oltre alla coppia di sponsor, partecipano l’avvocato Piero Amara, inquietante protagonista del “Sistema Siracusa” e Andrea Bacci, imprenditore amico di Matteo Renzi. «Mi disse di essere quasi un padre» per l’allora premier, rammenta Messina. Nel pranzo le ambizioni sono servite: «Venni rassicurato sulla prospettiva di assumere un ruolo di rilievo in Poste Italiane ed Enel». E anche sul seggio alle Politiche c’è una potenziale soluzione: «Mi fu spiegato che avrei avuto una candidatura tramite Denis Verdini, con cui venni messo in contatto telefonico da Bacci». L’indomani Messina incontra il leader politico (oggi “suocero” di Matteo Salvini) nella sede di Ala «in zona Largo del Nazareno». E dopo le elezioni amministrative del 2016, racconta l’ex presidente di Pubbliservizi, «venni chiamato da Verdini che mi propose di candidarmi come capolista nel Pd in quota Ala». Il tutto, ammette, «in esecuzione degli accordi già presi nel pranzo di cui ho riferito».E, sentito come testimone dai pm etnei, Amara conferma sostanzialmente la versione di Messina. Che gli venne presentato, racconta, da Rapisarda, «mia carissima amica nonché ex collega all’interno dello studio Grasso di Catania». I rapporti fra il presidente e il direttore generale di Pubbliservizi, agli occhi dell’avvocato di Augusta, «erano ottimi», tant’è che «fu Chiara a chiedermi di far incontrare Messina con Verdini» per aiutarlo «nella sua aspirazione di carriera politica o comunque nella pubblica amministrazione in incarichi di nomina politica». Amara parla di «incontri a Roma, sia presso il mio studio, che presso i ristoranti “Pescheria Rossini” e “Girarrosto Fiorentino”, nonché a casa mia ad Augusta». Insomma, il rapporto diventa confidenziale al punto che Messina partecipa con alcuni collaboratori («ricordo in particolare uno piuttosto tozzo») oltre che con il pm Musco. La versione di Amara collima anche sull’“aiutino” romano. Messina gli chiese «di fare in modo che Verdini parlasse con Enzo Bianco per evitare che la Città metropolitana di Catania sfiduciasse il Cda di Pubbliservizi, questo perché fra Verdini e Bianco vi è una grande amicizia», mette a verbale l’avvocato più volte condannato per corruzione di toghe. Amara approfondisce anche un’altra rivelazione di Messina («Il figlio di Verdini si reca spesso a Catania a incontrare il sindaco Bianco») aggiungendo dettagli in più: «Non sono a conoscenza di interessi della famiglia Verdini su Catania, so però che il figlio di Verdini ha una società nel settore della consulenza di nome Inverter Srl che Messina voleva coinvolgere nella stessa Pubbliservizi, cosa che poi non avvenne e non so per quale motivo».
La scalata di Messina
Ma la scalata di Messina ai palazzi romani non si ferma. Lo rivela lo stesso Amara: «Gli feci conoscere anche Luca Lotti e però non ho seguito direttamente i loro rapporti in quanto era il Messina a parlare direttamente con Lotti via WhatsApp». Il potente braccio destro di Renzi partecipa da remoto a un’iniziativa organizzata dal presidente di Pubbliservizi a Catania a sostegno del “Sì” al referendum istituzionale proposto dal premier. «Grazie a Bacci e a Verdini – ricorda Messina – ho avuto modo di interloquire telefonicamente con Lotti».Il rapporto fra Messina e il senatore centrista con numerosi guai giudiziari si consolida. Fino al punto che il presidente della partecipata provinciale si attivò «personalmente tramite la Marsh, broker di Pubbliservizi, per trovare la disponibilità a sottoscrivere una polizza fidejussoria che avrebbe consentito a Verdini di ottenere la sostituzione dell’oggetto del sequestro a suo carico innanzi al Gip di Firenze». Del resto, conferma, il senatore «s’è sempre dimostrato molto disponibile nei miei confronti», afferma l’ex presidente di Pubbliservizi ricordando «una telefonata fatta in viva voce e in mia presenza al sindaco Bianco che in quel periodo mi stava facendo la guerra». E ricorda che Verdini «gli parlò di me come un fratello e lo invitò a un incontro per fare sì che finissero le ostilità fra noi». Un contrasto che, secondo la versione di Messina, è legato a un episodio specifico che riguarda l’inchiesta sull’appalto dei rifiuti all’epoca dell’ultima sindacatura di Bianco. «Sono stato io – mette a verbale – a fornire le registrazioni delle telefonate fatte da Bianco e dalla Liotta (Antonella Liotta, all’epoca direttore generale del Comune, ndr) a Cocina (Salvo Cocina, ex dirigente comunale di Ecologia e Ambiente, oggi capo della Protezione civile regionale, ndr), registrazioni poi che da quanto io so sono state fornite a questa Procura dal direttore della testata SudPress. Io avevo queste registrazioni dal 28 giugno 2016 – svela – in quanto fornitemi dallo stesso Cocina». Bianco, ad onor del vero, non asseconderà la moral suasion romana a favore di Messina. Che, nel dicembre del 2016, firma le sue dimissioni in aperto scontro col sindaco metropolitano: «La mia presenza non è gradita». Al vertice di Pubbliservizi arriva l’imprenditore Silvio Ontario. Che, il giorno dell’arresto del suo predecessore nel blitz “Cerchio Magico”, parla di zone d’ombra della precedente gestione che la magistratura ha illuminato a giorno».
A proposito. Nella sua “confessione” Messina sostiene che oltre all’«appoggio politico» a un certo punto «ebbi modo di capire» che da Rapisarda e Musco «avrei potuto beneficiare di un appoggio giudiziario». E fa mettere a verbale che «Musco mi disse che il suo amico Longo (Giancarlo Longo, ex pm che in uno dei tronconi del “Sistema Siracusa” ha patteggiato 5 anni e in un altro è stato condannato a 4 mesi, ndr) sarebbe diventato procuratore aggiunto a Catania e mi fecero capire di essere molto amici del procuratore Giuseppe Pignatone e di un altro suo collega tale Luca Palamara». Messina, a questo punto, con i pm catanesi gioca a carte scoperte: «Immagino che tra le carte sottoposte a sequestro troverete l’incarico che ho conferito al fratello di Pignatone, quale dottore commercialista, su sollecitazione della Rapisarda. Ho avuto modo di conoscere il fratello di Pignatone – conclude – quando venne a Catania ad accettare l’incarico».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA