Cugini ma di due clan diversi. Salvatore Giuffrida e Santo Tricomi sono i due indagati di “pedigree” arrestati nell’ambito dell’operazione Carback. Il primo è un esponente del clan Cappello, il secondo invece è considerato un soldato dei Cursoti Milanesi. Tricomi era uno dei pochi a piede libero del processo Centauri che ha portato alla sbarra i protagonisti della sparatoria di Librino dell’8 agosto 2020. Nelle carte dell’inchiesta di ieri si parla proprio di quel confronto armato, che vide contrapposti proprio i clan di appartenenza dei due “parenti”. Giuffrida, intercettato, parla di una conversazione che avrebbe avuto con Massimo (per gli investigatori Massimiliano Cappello) «in relazione ai fatti che sfociati nel duplice omicidio dell’agosto 2020, nel quartiere Librino», scrive la gip.
Il cappelloto avrebbe avuto rassicurazione da Massimo che «i ragazzi del quartiere, seppur appartenenti ai Cursoti Milanesi, avrebbero potuto stare tranquilli, perché la questione rimaneva aperta solo nei confronti dei fratelli Sanfilippo e di Carmelo (Distefano). Addirittura il fratello del capomafia Turi Cappello avrebbe sostenuto che «il clan Cappello e i “Milanesi”, Nuccio Miano compreso (fratello del defunto Jimmy che ha portato al potere i milanesi), erano da ritenersi tutta una cosa». Un patto mafioso che va cercato indietro nel tempo, quando i milanesi e i cappelloti erano alleati nella cruenta guerra contro i Mazzei.
Ma torniamo ai cugini diversi. Tricomi avrebbe avuto questioni interne al suo clan – in particolare hanno ricostruito gli investigatori con Roberto Campisi – perchè si sarebbe avvalso di Giuffrida per risolvere i problemi (tesisissimi) insorti con i fratelli Costa e Giovanni Caruana per la gestione dello spaccio al viale Grimaldi 7. Tricomi «per giustificare il proprio operato» avrebbe detto che «Giuffrida seppur appartenente al clan Cappello era prima di tutto un suo parente e, nel momento del bisogno, si era sempre prestato a dargli una mano». Dal canto suo il cappelloto racconta «di avere avuto un confronto con lo stesso Roberto e di avere compreso che il problema riguardava il solo Roberto e non anche le “famiglie” di rispettiva appartenenza». Giuffrida però si sarebbe mostrato «interessato alla vicenda».
Ma cosa sarebbe successo precisamente? Giuffrida spiega « che le ragioni di astio tra le parti erano sorte quando Giovanni “u ponchiu” si trovava detenuto». In questo lasso di tempo i Costa si sarebbero indebitati per motivi di droga con Caruana, che inoltre una volta fuori li avrebbe accusati della sparizione di due kalashnikov. «La situazione si è ricomposta grazie all’intervento, nel mese di dicembre, di Giuffrida». Poi sarebbe stato raggiunto un accordo con un «rimborso mensile di 500 per il ripianamento del debito e la limitazione della loro attività di spaccio al solo pianerottolo di casa».
Lo spaccio su strada sarebbe stato monopolizzato solo da Caruana. I fratelli però non avrebbero rispettato i termini del patto e quindi tutto sarebbe stato precipitato. In mezzo anche un panetto sparito. I Costa – sostenuti da Tricomi – avrebbero avuto quindi una forte tensione con Caruana, che a sua volta avrebbe minacciato di usare le armi. Dalle intercettazioni all’autonoleggio si scopre che la droga della discordia è nascosta «nella rampa di scale del pianerottolo e nessuno ne era a conoscenza». A quel punto però Giuffrida prende una decisione. E dice a Tricomi che si sarebbe fatto da parte visto che «la cosa riguardava la famiglia dei Milanesi». E avrebbe voluto «evitare equivoci sulla sua affiliazione al clan Cappello».