Domani saranno 30 anni dalla cattura del capo dei capi di Catania Nitto Santapaola. All’alba del 18 maggio 1993 molti telefoni squillavano. Dall’altra parte il grido di esultanza: «Lo abbiamo preso». In un casolare sperduto tra le compagne del calatino il capo dello Sco Antonio Manganelli e il collega Alessandro Pansa guidarono l’operazione Luna Piena che mise fine alla latitanza del padrino catanese. All’epoca Mario Busacca, che ha spento da qualche mese 91 candeline, era procuratore aggiunto. Andò in elicottero fino al covo.
Sono trascorsi 30 anni dall’operazione Luna Piena. Come le dissero che Nitto Santapaola era stato catturato?
«Avendo anche presieduto il collegio del Tribunale che per la prima volta aveva condannato Santapaola, ritenuto mandante della rocambolesca rapina di un miliardo di lire presso le Poste di Catania, avevo chiesto alla Polizia di avvertirmi della cattura anche se a notte fonda».
Dottore cosa ricorda di quel giorno?
«Ricordo benissimo quel giorno. Fui svegliato quasi all’alba. Il tempo di vestirmi e corsi in Procura (ero l’aggiunto più anziano all’epoca) dove incontrai il dottore Manganelli, capo del Servizio Centrale, che era giunto da Roma per dirigere personalmente l’operazione, questa volta fruttuosa. In precedenza erano stati scoperti i suoi nascondigli , prima a Mascalucia e poi nel messinese. In entrambe le occasioni, il giorno precedente la progettata cattura Santapaola si dileguava. Da ciò la scelta del dottore Manganelli di non preavvisare la polizia locale per timore di una ulteriore soffiata. Volli vedere di persona il luogo ove era stato catturato e vi fui portato in elicottero. Era un casolare situato in aperta campagna di un inimmaginabile squallore. C’era un letto somigliante a un giaciglio, una sedia fungeva da comodino su cui era poggiata una radiolina ed una pistola carica. Tanti favoleggiavano di una fastosa latitanza in una suite ai Caraibi, invece viveva come un poveraccio».
C’è stato un tentativo di far collaborare il padrino?
»Non c’è mai stato un tentativo in tal senso. Per pentirsi avrebbe dovuto coinvolgere i familiari e i parenti Ercolano con la immediata confisca di beni palesi o occulti».
Alcuni anni dopo la cattura uccisero la moglie di Santapaola. Cosa pensò?
«Ho pensato che le cosche erano allo sbando se un capo poteva patire un simile affronto; specie con quelle modalità. Il killer bussò alla porta e appena la signora Santapaola aprì le esplose contro alcuni colpi di pistola, allontanandosi poi tranquillamente. Era un chiaro avvertimento».
Santapaola è il patriarca di una mafia che dialoga alla pari con le istituzioni. Eppure per radicarsi ed emergere ha avuto bisogno del placet dei corleonesi. Quale era la vostra percezione all’epoca?
«Santapaola aveva molte entrature in città. Era stimato e temuto. I corleonesi lo tenevano in buona considerazione e gli lasciavano libertà di agire nella sua “giurisdizione”. Ai suoi adepti, ad esempio, aveva dato disposizioni di non toccare personaggi “eccellenti” come politici, imprenditori, magistrati o poliziotti di alto rango. In proposito voglio ricordare (ne riferirono due pentiti) che vi fu una spedizione di palermitani a Catania per convincere i locali a compiere un attentato ai danni miei e del collega Paolo Giordano per attrarre e allontanare la asfissiante pressione esercitata a Palermo dalle forze dell’ordine. Ma i catanesi non vollero saperne».
Per anni questa città – e le sue più alte istituzioni – hanno quasi negato l’esistenza della mafia. È servito Dalla Chiesa a rompere la coltre di silenzio ed omertà. Pensa che la magistratura dell’epoca abbia peccato – parlo degli Anni 70 e 80 – di superficialità? Un’epoca buia?
«In effetti fino agli anni Settanta quelli che parlavano di mafia erano smentiti se non addirittura derisi. Quando la efferatezza delle azioni criminose si alzò di livello, non fu possibile nascondere la verità sulla diffusione del fenomeno mafioso. La magistratura catanese, dapprima inerte, anche grazie al rinnovamento che fu operato (venivo nominato procuratore aggiunto e arrivarono magistrati di valore, e fra questi – senza fare torto a nessuno – mi piace ricordare Giuseppe Gennaro) si mosse con determinazione ed efficacia. Gli arrestati furono diverse centinaia e moltissime furono le condanne all’ergastolo con applicazione del 41 bis, misura temuta che indusse molti a pentirsi e collaborare con la giustizia».
La cattura di Santapaola secondo lei è stato un modo per svegliare Catania dal torpore o già le stragi avevano dato un colpo di reni?
«Non mi pare che la cattura di Santapaola abbia avuto particolari effetti nell’immediato. Diciamo che Catania ha risposto più lentamente, ma questa è solo la mia impressione».
Oggi come guarda questa città?
«La mafia è sempre presente, ma preferisce impegnarsi nel lucroso commercio della droga o nel condizionamento delle attività pubbliche che comportano alti profitti e agevolazioni. Sul piano sociale-economico il disastro è così evidente da non meritare commenti. Non vedo luce in fondo al tunnel».
E sulla giustizia? Gli scandali e le degenerazioni del potere legato alle toghe come le ha vissute?
«Purtroppo la crisi della giustizia è altrettanto evidente . Le riforme prospettate hanno scarsa conducenza. La litigiosità in campo civile e l’alto tasso di criminalità rendono la giustizia lenta e quindi iniqua. Lo scandalo al Csm è stato enfatizzato dando tutte le colpe alle correnti dei magistrati, ma non dimentichiamo che votano anche i membri laici che però ormai vengono sostanzialmente nominati dalle segreterie dei partiti; non era questo l’intento della Costituzione».
Dottore, ha ancora un sogno da realizzare?
«Nel mio metaforico cassetto oramai non vi sono più sogni, né progetti da realizzare, ma solo ricordi alcuni belli, altri meno. Non rimpiango nulla trascorrendo le mie giornate in tranquillità con la lettura dei quotidiani nazionali ed ovviamente de La Sicilia che negli ultimi anni ha fatto molti passi avanti arricchendo le pagine della cultura e dello spettacolo. Leggo gialli, ovviamente, e finalmente ho il tempo di seguire lo sport, comprese le vicende del Catania che sembra resuscitato come Lazzaro da un imprenditore siculo australiano intraprendente e coraggioso. Magari avercene altri pronti a risollevare le sorti della città. Un sogno, forse una politica più “seria”, si parla adesso di presidenzialismo, ma sorrido al pensiero che se esso fosse stato approvato negli anni scorsi oggi avremmo al Quirinale forse il comico Grillo o un presentatore di Sanremo!».