"La Corte di Assise di Appello ha contraddittoriamente ed illogicamente assolto gli imputati Subranni, Mori e De Donno, sul presupposto erroneo che gli stessi abbiano agito con finalità "solidaristiche" e, comunque, in assenza del dolo – anche sotto forma della volizione eventuale e pertanto accettata – ovvero di aver agito per alimentare la spaccatura asseritamente già esistente (ut infra) in Cosa Nostra tra l'ala stragista e l'ala moderata, amplificando, oltremodo, i motivi dell 'agere illecito, pacificamente, irrilevanti ai fini della connotazione dell'elemento soggettivo". E' quanto si legge nel ricorso per Cassazione della Procura generale di Palermo della sentenza del processo d'appello sulla trattativa tra Stato e mafia. "Una tale valutazione non può essere condivisa, posto che, innanzi tutto, contraddice quanto dalla stessa Corte affermato in modo chiaro ed esplicito alla p. 12 71 della motivazione", scriva la Procuratrice generale Lia Sava. "Le conclusioni cui è pervenuta la Corte di Assise di Appello non possono, dunque – prosegue la procura generale – essere condivise, poiché adottate sulla scorta di una palese erronea applicazione della legge penale ed in conseguenza, anche, di una evidente contraddittorietà del percorso logico-argomentativo, peraltro carente e sovente irrazionale".
Il ricorso è stato firmato dalla Procuratrice generale Lia Sava in persona e dai sostituti Giuseppe Fici e Sergio Barbiera, che hanno rappresentato l'accusa nel procedimento di secondo grado. Al momento dalla Procura generale preferiscono il silenzio.
Lo scorso 6 agosto, dopo quasi anno, erano state depositate le motivazioni della sentenza di appello. La Corte d’assise d’appello di Palermo aveva assolto «perché il fatto non costituisce reato», l’ex senatore Marcello Dell’Utri, il generale Mario Mori, il generale Antonio Subranni e l’ufficiale dei carabinieri Giuseppe De Donno, tutti e tre ex ufficiali del Ros e aveva ridotto la pena a 27 anni per il boss corleonese Leoluca Bagarella. Confermata invece la sentenza del medico Antonino Cinà. In primo grado erano stati condannati a 28 anni di carcere il boss Leoluca Bagarella, a 12 anni Dell’Utri, Mori, Subranni e Cinà e a 8 anni per De Donno.