Tra il Caravaggio, l’Efebo e il Satiro gli appetiti di Cosa nostra per l’arte

Di Laura Compagnino / 19 Ottobre 2019

Palermo. La Sicilia è da sempre preda facile per i ladri di tesori culturali. Lunga è la storia di saccheggi e furti in siti archeologici e chiese, con alcuni casi eclatanti come quello de “La Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi”, il dipinto realizzato da Caravaggio e trafugato nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo. Si pensò subito a un furto su commissione, gestito dall’unico soggetto capace di portare a termine un’operazione simile, ovvero Cosa Nostra, come confermarono le dichiarazioni di vari pentiti di mafia come Francesco Marino Mannoia, Giovanni Brusca, Gaspare Spatuzza e Gaetano Grado. Dal 1971 a oggi sono state seguite varie piste e varie ipotesi investigative per risolvere questo giallo a cui Leonardo Sciascia, nel 1989 dedicò il suo ultimo racconto, “Una storia semplice”. Ma a oggi il mistero è rimasto irrisolto e l’unica certezza è il ruolo importante della mafia.

“Con il traffico di opere ci manteniamo la famiglia”, scriveva in un pizzino il superlatitante Matteo Messina Denaro, che ha ereditato la passione per l’arte dal padre Ciccio Messina Denaro. Il boss nel 1962 ordinò il furto dell’Efebo di Selinunte (poi recuperato in Umbria) e chiese al Comune di Castelvetrano un riscatto di 30 milioni di lire mai pagato. Il figlio Matteo nel 1988 aveva organizzato a Mazara del Vallo il furto del “Satiro Danzante” appena recuperato, dal peschereccio “Capitan Ciccio” nel Canale di Sicilia. Tutto era pronto per sottrarre la statua ma il colpo sfumò e il boss perse l’affare con l’acquirente che era pronto ad acquistare il Satiro.

Per la mafia, la vendita di quadri e reperti è un modo semplice per reinvestire i proventi delle estorsioni e del traffico di droga, il mercato parallelo è una potente lavatrice di denaro sporco su scala internazionale. Gli oggetti vengono venduti quasi sempre all’estero in modo da farne perdere le tracce e come canale viene scelto quasi sempre quello dell’e-commerce che facilita lo scambio fra privati. Persino sui social network sono state aperte pagine di compravendita di oggetti che in realtà sono un paravento per nascondere il commercio illegale di opere d’arte rubate.

Il Nucleo dei Carabinieri di Tutela del Patrimonio Culturale istituito nel maggio del 1969 come il primo organismo di polizia specializzato al mondo, è oggi uno dei reparti specializzati più efficienti a livello internazionale. Ogni giorno monitora il mercato nazionale ed estero anche attraverso i controlli dei siti internet e dei cataloghi di aste on-line e conduce operazioni che assomigliano spesso alla trama di un film, con agenti sotto copertura che si fingono interessati all’acquisto di opere d’arte o reperti archeologici rubati e che lavorano in collaborazione con l’ Interpol, l’FBI, gli uffici della Dogana e quelli di New Scotland Yard. C’è persino una app, iTpc Carabinieri, che si scarica sui tablet o smartphone, nella quale si può consultare il bollettino delle opere d’arte trafugate, attraverso la comparazione di immagini con quelle contenute in un archivio informatico dedicato. Con un’altra opzione si può creare il “Documento dell’opera d’arte”, l’Object ID, la carta d’identità del bene custodita dal legittimo proprietario. La Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti, gestita dal Comando dei Carabinieri tutela del patrimonio culturale creata nel 1980 è stata la prima nel settore ed è oggi riconosciuta come il database dedicato più ampio esistente al mondo.

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Pubblicato da:
Redazione
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