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Strage Borsellino, la Procura di Messina: «Nessun depistaggio dai pm»

Di Redazione |

MESSINA – «Le indagini, doverosamente svolte secondo l’indicazione della Corte di assise di Caltanissetta, pur avendo imposto a quest’ufficio un considerevole dispendio di energie ai fini di soddisfare il canone della completezza, non hanno consentito di individuare alcuna condotta posta in essere nè dai magistrati indagati, nè da altre figure appartenenti alla magistratura che abbiano posto in essere reali e consapevoli condotte volte ad inquinare le dichiarazioni, certamente false, rese da Vincenzo Scarantino». Lo scrivono i pm di Messina nella richiesta di archiviazione dell’inchiesta sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio aperta a carico degli ex pm Anna Maria Palma e Carmelo Petralia.

Per gli stessi fatti e per la stessa accusa – calunnia aggravata – a Caltanissetta è in corso un processo contro tre dei poliziotti che condussero le indagini e che, costruendo a tavolino tre falsi pentiti, avrebbero inquinato la ricostruzione dell’attentato al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta. «Indubbiamente, – aggiunge la Procura di Messina – senza la successiva collaborazione di Gaspare Spatuzza, di tale falsità non vi sarebbe stata alcuna certezza; tale dato deve fare riflettere su un sistema processuale che, in ben tre gradi di giudizio, non è riuscito a svelare tale realtà. Tuttavia, questa valutazione esula dai compiti di questa Procura della Repubblica, così come ogni valutazione concernente profili diversi da quello penale, per gli indagati e per i magistrati comunque coinvolti nella vicenda processuale».

«Le indagini in questione, svolte, si ribadisce, a distanza di oltre 27 anni dalla strage, hanno ricostruito il contesto nel quale è maturata la “collaborazione con la giustizia” di Scarantino – scrivono i pm di Messina coordinati dal procuratore Maurizio de Lucia e-  le anomalie tecnico giuridiche e valutative che hanno caratterizzato quella gestione, in termini di uso dei colloqui investigativi, di contatti informali con il collaboratore ed i suoi familiari».

I magistrati sottolineano più volte le «anomalie» dell’indagine sull’attentato che ha portato alla condanna all’ergastolo, per l’attentato al giudice Borsellino, di 7 innocenti. Per i pm «il silenzio, ineccepibile in punto di diritto del quale si sono avvalsi» i tre poliziotti sotto processo per il depistaggio a Caltanissetta, Bo, Mattei e Ribaudo, che come i due pm rispondono di calunnia aggravata, «non ha consentito di comprendere quale effettivo ruolo hanno svolto il dottor Giovanni Tinebra – a quell’epoca Procuratore capo della Repubblica di Caltanissetta – ed i suoi sostituti nella gestione di Scarantino, né quale direzione effettiva essi hanno avuto delle indagini. Senza dire che la scomparsa di Tinebra e La Barbera ha impedito, oggettivamente, di acquisire le conoscenze che gli stessi direttamente avevano o potevano avere dei fatti».

«Le indagini si collocano a distanza di oltre 27 anni dalla strage e scontano dei limiti strutturali difficilmente superabili», ribadiscono i pm della procura di Messina nella richiesta di archiviazione. I magistrati messinesi, che in due anni di indagini hanno interrogato veri e falsi pentiti e tutti i protagonisti delle vicende dell’epoca – poliziotti, avvocati e magistrati – sottolineano «il venir meno, nel tempo, di fonti di prova rilevanti (è il caso – scrivono – dei sopravvenuti decessi del dott. Tinebra e del dott. Arnaldo La Barbera, i quali hanno certamente avuto un ruolo importante nella vicenda)». Il riferimento è all’ex procuratore di Caltanissetta e all’ex capo della Mobile di Palermo che coordinava il gruppo investigativo che svolse gli accertamenti sull’attentato al giudice Borsellino. A incidere sull’esito dell’inchiesta di Messina anche «l’usura delle fonti dichiarative – sentite più volte in questo lasso di tempo e con risultati che hanno i caratteri della contraddittorietà, non conseguenzialità logico temporale».

«Inoltre, – concludono i magistrati – va ancora ribadito che le attuali indagini hanno avuto un perimetro ben delimitato: sono state finalizzate esclusivamente a verificare l’esistenza di profili di rilevanza penale a carico dei magistrati che si occuparono della gestione di quei collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni furono utilizzate nell’ambito dei procedimenti scaturiti dalla strage di via D’Amelio».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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