PALERMO – Sono anni convulsi e tragici quelli ripercorsi dall’avvocato Fernanda Contri, ex segretario generale di Palazzo Chigi, ministro e amica di Giovanni Falcone, al processo Stato-mafia. «Da anni non venivo in quest’aula (l’aula bunker del carcere Ucciardone, ndr) perché per me la morte di Giovanni è ancora inaccettabile», ha spiegato. Questa mattina, nonostante i problemi di salute, ha trovato la forza per testimoniare così come aveva fatto due anni fa al Borsellino-quater. Nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia per fare cessare le stragi sono imputati il capomafia Totò Riina, gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, i senatori Marcello Dell’Utri e Calogero Mannino, accusati di attentato a un corpo politico. L’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, risponde invece per falsa testimonianza, mentre Massimo Ciancimino risponde di concorso esterno.
Il racconto di Fernanda Contri parte dal 1988, quando la nomina di Falcone a capo dell’ufficio istruzione fu bocciata dal Csm. «Non avevo mai visto Giovanni così deluso e colpito. Mi disse: ‘Avete capito che mi avete consegnato alla mafia?’ Era scosso, impaurito». Qualche mese più tardi il giudice avrebbe parlato di «menti raffinatissime» riferendosi a chi aveva progettato il fallito attentato all’Addaura. «Non mi disse mai a chi si riferiva, Falcone era riservatissimo», ha proseguito Contri.
I timori di Falcone sono molto simili a quelli di Paolo Borsellino che chiese al segretario generale di intervenire presso il Governo per accelerare i tempi di approvazione di certe leggi, quella sui pentiti in particolare. «Mi disse – ha ricordato la teste – ‘Io ne sto interrogando nove, vado avanti e indietro dalla Germania e ho bisogno che questi approvino certe leggì. La mia è una corsa contro il tempo, contro tutti i tempì, tu sai cosa voglio dire».
Dopo le stragi, Contri incontrò il generale Mario Mori. Voleva avere notizie, capire se c’era qualche indizio. «Mori non mi parlò mai di trattativa – ha detto – però mi disse che stava incontrando Vito Ciancimino per indagare sulle stragi Falcone e Borsellino». Gli incontri con Mori nel 1992 furono – come emerge dalla agenda di Contri – il 22 luglio, a pochi giorni dall’uccisione di Paolo Borsellino, e il 28 dicembre. Riferì anche il contenuto al presidente del Consiglio, Giuliano Amato, che nel 2012, durante il processo Mori, ricordò quelle confidenze, ma anche riferì di non aver mai sentito parlare di nessuno della «trattativa».
Eppure – come emerge da un file di cui la Procura ha chiesto l’acquisizione – proprio di trattativa parlò il generale Giorgio Cancellieri, comandante dei carabinieri della Sicilia, il 15 gennaio 1993, quando venne arrestato Totò Riina. In particolare, secondo i pm Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, hanno rilevanza le parole dette dal generale sui “gravissimi e reiterati episodi di criminalità nell’isola. E questo in un piano anche, chiamiamolo in termini militari strategico, addirittura potrebbe avere dell’inaudito e dell’assurdo, di mettere in discussione l’autorità istituzionale. Quasi a barattare, a istituire una trattativa per la liquidazione di una intera epoca di assassini, di lutti, di stragi in tutti i settori della vita civile nazionale».