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L'INTERVISTA

«Sono prete e sono gay», la confessione di un sacerdote siracusano tra app d’incontri, sesso di nascosto e timore di Dio

Un parroco siciliano decide di condividere il peso di una vita non vissuta: «Ma senza tonaca non saprei di cosa vivere. Noi che predichiamo di più la castità, siamo quelli che la viviamo peggio»

Di Seby Spicuglia |

Ippolito. Il nome è di fantasia, ma poco importa. Lui è un prete di origini siracusane che opera nella Sicilia orientale. Quando contatta il cronista lo fa per «condividere un peso sullo stomaco e sull’anima che pressa sempre di più: sono prete e gay». Non solo: «So di tanti colleghi che vivono con turbamento e affanno la mia stessa sessualità. De Andrè in una canzone immagina Dio che un giorno soffocherà i singhiozzi dei peccatori tra le sue braccia. Sogno quell’abbraccio ogni notte, ma ho paura che Lui mi rifiuterà».

Come vive la sua condizione?

«Male e bene. Gli etero lasciano spesso tracce, perché le donne restano incinta o si legano troppo, mentre per noi gay è più facile. Da questo punto di vista si teme che sia la donna a creare più problemi».

Sta dicendo – al di là delle frasi misogine utilizzate – che per un prete sarebbe più facile nascondere una relazione con un uomo che con una donna?

«Sì, è sempre stato così. Ma adesso ci si è messa di mezzo la tecnologia: un messaggio affettuoso, o erotico, o la foto che invio al mio amante o un video che mi vede uscire da un appartamento dove ho fatto sesso con un ragazzo, sono elementi pericolosi che rimangono».

Lei fa uso della tecnologia, in questo senso?

«Sì, molto. Soprattutto siti per incontri tra uomini».

Rivela subito di essere un prete?

«I miei incontri avvengono per lo più in viaggio, spesso a Roma. Prima provo a capire chi ho davanti, perché ho paura di essere scoperto. Se si tratta di una persona anch’essa ricattabile, come un uomo sposato o un altro prete, invece lo posso dire».

Si è mai imbattuto, cercando incontri, in un altro prete?

«Sì, accade a tantissimi preti. So che per questo ci sono preti che hanno foto compromettenti di altri preti».

Lei è mai stato ricattato?

«No, perché nel mondo degli incontri gay vige la regola che nessuno debba scoprire l’altro. Bisogna però stare attenti, soprattutto se preti o sposati. So di uomini che conservano foto di incontri con preti, sperando che un giorno, chissà, possano servire».

Il desiderio è più forte del senso di colpa che dovrebbe essere connaturato al suo ruolo di prete?

«Ho fatto un cammino di consapevolezza all’interno di me stesso, per capirmi. L’errore sta nella mitizzazione della nostra figura. Quando ci ordinano preti, c’è una forte spinta narcisistica. Io credevo fosse la chiamata di Dio, ma in realtà è narcisismo. Il prete, oggi, viene considerato un Padreterno».

Anche meno, non si esalti.

«Avere a che fare con una persona alla pari, come tra marito e moglie, è una cosa. Il prete, invece, è a capo delle situazioni in cui si trova: parrocchia o diocesi se diventa vescovo. Non ha rapporti paritari: ha gente alla quale obbedire o gente che ti deve obbedire».

Cosa c’entra questo col senso di colpa?

«Si perdono i punti di riferimento. Prima il prete doveva rivolgersi ad un direttore spirituale, adesso non accade più. E così siamo liberi, nei seminari, nei conventi. Oggi invece ci sentiamo il centro del mondo. Senza punti di riferimento, il senso di colpa non ha senso».

Le capita di confessarsi e di parlare della sua sessualità?

«Sì, e in risposta ottengo solo un rimprovero e il suggerimento di non farmi “sgamare”».

La ricerca di un rapporto – affettivo, sessuale – con uomini, da parte di alcuni preti, è diffusa?

«Tantissimo, ed è così in tutta la Sicilia».

Nella gerarchia della Chiesa esiste un livello oltre il quale si preferisce non rischiare, o questa sorta di seconda vita ha una progressione verticale?

«L’omosessualità è una marcia in più per fare carriera. Se trovi il letto giusto, se ti “cucchi” (corichi, ndr) con la persona giusta avanzi di carriera».

E’ una frase populista, o sta facendo un riferimento specifico al suo ambito professionale?

«Come in un’azienda spesso questo schema permette salti di carriera, lo stesso è nel nostro mondo. I nostri superiori sono tutti maschi, per cui il sesso diventa strumento di carriera e potere».

Conosce preti che hanno preferito seguire il proprio orientamento sessuale rinunciando alla tonaca?

«Quasi nessuno, perché l’omosessualità nel nostro ambito non crea problemi come l’eterosessualità. L’omosessualità è più mascherabile: se mi fidanzo con un prete, posso mascherare la cosa come amore tra confratelli casto e puro, mentre con una donna sarebbe più pericoloso».

Le cronache parlano spesso di pedofilia in seno alla Chiesa.

«Credo sia una piaga piuttosto limitata, rispetto all’omosessualità. Ci sono casi che vengono coperti, è vero, ma quando vengono scoperti i responsabili vengono dimessi».

Separiamo. come è corretto che sia, i due ambiti, omosessualità e pedofilia. Lei sostiene che spesso i casi di pedofilia verrebbero coperti. L’omosessualità dovrebbe attenere alla vita privata di un prete, come di qualsiasi altra persona, ma le chiedo: e in questo caso?

«Nel caso dell’omosessualità, se ci sono prove che circolano, come ad esempio fotografie, si può incorrere in seri guai. Senza prove, spesso ci si ferma ad una pacca sulle spalle e tutto va avanti».

Lei, prima dell’intervista, mi ha detto di sapere di alcuni incontri che avverrebbero anche all’interno di certune parrocchie.

«So di preti sprovveduti che ricevono le persone in parrocchia».

Qualche familiare, o amico, è al corrente della sua sessualità?

«No, solo qualche compagno d’adolescenza. Io è come se lo sapessi da sempre, di essere gay, ma me ne sono davvero reso conto in Seminario. Alcuni compagni di quel percorso, ora preti, sanno e vivono la stessa condizione».

E’ mai stato insidiato da un adulto, in quella fase della sua formazione?

«Sì, da un superiore che mi aveva promesso di darmi una mano nella mia carriera futura. Ho rifiutato».

Come vive quotidianamente il dover nascondere la sua sessualità?

«E’ come se mi fossi pian piano spersonalizzato, come fossi due persone».

Come si fa a predicare virtù e contenzione da un pulpito, e poi vivere in maniera diametralmente opposta?

«Mi rendo conto che quelli che predichiamo di più la castità, siamo quelli che la viviamo peggio. E così riversiamo sugli altri i nostri sensi di colpa».

Cosa pensa dell’omofobia?

«Credo sia sbagliata, ma spesso è un modo per allontanare i sospetti sulla propria omosessualità».

Per coerenza, ha mai pensato di abbandonare la tonaca?

«Non saprei di cosa vivere».

Se domani Dio la guardasse negli occhi, lei cosa proverebbe?

«Proverei molta paura. Probabilmente dietro la mia omosessualità c’è un cattivo rapporto genitoriale, e questo mi impedisce di vedere Dio come padre, ma mi farebbe molta paura».

sebyspicuglia@gmail.com

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