PALERMO – Soldi e favori per “agevolare” il trasferimento da un carcere all’altro di alcuni colleghi o per facilitare il superamento delle prove selettive di concorsi per allievi agenti da parte dei candidati. Due poliziotti penitenziari in servizio al carcere Pagliarelli di Palermo sono stati sospesi per un anno dal servizio.
La misura interdittiva, emessa dal Tribunale del capoluogo siciliano, è stata eseguita dal Nucleo investigativo regionale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dal reparto di Polizia penitenziaria presso la direzione del carcere. Per una terza persona, esterna al Corpo e all’Amministrazione penitenziaria, è stato disposto l’obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria per l’ipotesi di estorsione commessa ai danni di agenti penitenziari.
Ad altre cinque persone, tra cui tre agenti della polizia penitenziaria, sono stati notificati gli avvisi di garanzia nell’ambito dello stesso procedimento penale. L’operazione è stata coordinata dal Nucleo investigativo centrale della Polizia penitenziaria e sono stati impiegati, oltre al nucleo regionale di Palermo e al reparto di Polizia penitenziaria di Pagliarelli, anche i nuclei investigativi regionali di Milano, Catanzaro e Cagliari.
Secondo le indagini alcuni poliziotti penitenziari, millantando rapporti privilegiati con funzionari dell’amministrazione penitenziaria e dietro il pagamento di denaro giustificato come ‘prezzò per l’illecita mediazione, avrebbero garantito il trasferimento di colleghi in sedi di lavoro a loro gradite o il superamento delle prove concorsuali per allievi agenti. Le indagini hanno fatto luce su “un articolato sistema fondato sulla ricerca di favori e scorciatoie da parte di pubblici ufficiali in servizio per ottenere vantaggi di diversa tipologia”.
Un ruolo chiave nel sistema, secondo l’accusa, era svolto da un assistente capo, destinatario di misura interdittiva per la durata un anno. “Millantando conoscenze e rapporti privilegiati con funzionari dell’Amministrazione penitenziaria centrale” si sarebbe fatto consegnare a seconda della pratica promessa dai 2mila ai 5mila euro, “come mediazione illecita presso i presunti pubblici ufficiali di sua asserita conoscenza e come finta remunerazione diretta a quest’ultimi”.
ln una occasione l’assistente capo sarebbe stato anche vittima di estorsione da parte di uno dei soggetti, estranei al corpo e all’amministrazione, a cui si era rivolto per il conseguimento degli indebiti favori, mediante la richiesta, accompagnata da minacce, di restituzione delle somme elargite per il mancato favore.
“La complessa attività di polizia giudiziaria – spiegano gli investigatori – ha permesso sia di interrompere un sistema criminale, consolidato e remunerativo, fondato su millanteria e asserite relazioni, sia di interrompere quelle azioni che gettavano discredito sull’immagine del Corpo e dell’Amministrazione penitenziaria, dimostrando che nella Polizia penitenziaria non mancano gli anticorpi per combattere simili indegne condotte”.