Soldi, gioielli e viaggi: così è arrivato a Roma il sistema Siracusa di Amara e Calafiore

Di Lorenzo Attianese e Marco Maffettone / 31 Maggio 2019

ROMA – Viaggi, anelli e decine di migliaia di euro per pilotare le nomine dei magistrati a capo delle Procure, una delle quali sarebbe stata però «fermata dallo stesso presidente della Repubblica». Le indagini che coinvolgono Luca Palamara, il sostituto procuratore ed ex consigliere del Csm accusato di corruzione, assumono sempre di più le forme di un’inchiesta che si abbatte con un effetto domino su più di una cittadella giudiziaria.

La Guardia di Finanza e i magistrati di Perugia hanno perquisito il suo ufficio in Procura a Roma. E spuntano i nomi illustri di altri indagati che avrebbero favorito Palamara per eludere le indagini a suo carico: tra questi, il pm Stefano Rocco Fava – il magistrato dell’esposto contro il procuratore di Roma Pignatone – e il consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura Luigi Spina. Sulla vicenda, l’Associazione Nazionale Magistrati «confida che il percorso decisionale del Csm non sia in alcun modo influenzato da alcun altro fattore, esterno o interno alla magistratura».

Nel registro degli indagati, con l’accusa di corruzione, i pm di Perugia hanno iscritto anche Fabrizio Centofanti, l’imprenditore dei “regali”, e gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore. Dalle indagini emergono viaggi e vacanze per Palamara (all’epoca consigliere del Csm) e famiglia: un’attività corruttiva messa in atto, secondo la procura di Perugia, «per fare in modo che Palamara mettesse a disposizione, a fronte delle utilità, la sua funzione di membro del Csm, favorendo nomine di capi degli uffici cui erano interessati Amara e Calafiore».

Tra i regali, anche un anello «del valore di duemila euro in favore dell’amica Adele Attisani», oltre a un soggiorno a Taormina. E poi viaggi per lo stesso Palamara, o la sorella, in Toscana, a Madonna di Campiglio, a Dubai e Favignana.

Il sostituto procuratore romano, secondo l’accusa, quando rivestiva il ruolo di componente del Csm, avrebbe anche ricevuto 40 mila euro dagli avvocati Calafiore e Amara per favorire la nomina di Giancarlo Longo (arrestato nel febbraio 2018 per corruzione a Messina – ndr) a procuratore di Gela: un tentativo non andato in porto – secondo quanto avrebbe riferito Palamara, come raccontato dallo stesso Longo ai magistrati – per «un intervento diretto del presidente della Repubblica» Sergio Mattarella.

Un altro filone della stessa indagine riguarda invece le accuse nei confronti dell’attuale consigliere del Csm, Luigi Spina. Per quest’ultimo le ipotesi di reato sono rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale. Spina, che come Palamara è esponente di Unicost, la corrente di centro delle toghe, avrebbe rivelato al suo collega notizie relative all’inchiesta di Perugia nel quale era indagato, apprese proprio grazie al suo ruolo nel Csm. Una conversazione dello scorso 9 maggio «tra Spina, Palamara e due parlamentari (…) dimostra” che lo stesso Palamara, si legge negli atti dell’inchiesta, era “già consapevole del suo procedimento pendente a Perugia, tanto da parlarne con un parlamentare imputato».

Un altro dei soggetti chiave associati alle indagini sui rapporti tra Palamara e Spina è poi il pm romano Stefano Rocco Fava, indagato per favoreggiamento e rivelazione del segreto di ufficio in concorso. Il pm, autore dell’esposto al Csm contro il procuratore Pignatone e l’aggiunto Ielo, è accusato di aver rivelato a Palamara notizie sulle indagini a suo carico e di averlo aiutato ad eluderle fornendo atti e documenti.

 

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«C’avrai la tua rivincita perché si vedrà che chi ti sta fottendo (…) forse sarà lui a doversi difendere a Perugia, per altre cose perché noi a Fava lo chiamiamo», diceva al telefono Spina all’amico Palamara, che rispondeva: «No adesso lo devi chiamare altrimenti mi metto a fare il matto».

Palamara avrebbe acquisito informazioni anche attraverso il commercialista Andrea De Giorgio, consulente nominato anche all’interno della Procura della Repubblica di Roma. Secondo i pm, «la consegna di queste carte “contro” i suoi colleghi da parte di Fava e parimenti le informazioni assunte dal De Giorgio» hanno «per Palamara, nella sua ottica, un valore al contempo difensivo e forse di “ritorsione”».

Ora al vaglio degli inquirenti ci sono i file contenuti in uno dei computer dell’ex consigliere del Csm sequestrato a piazzale Clodio. Palamara nel pomeriggio di ieri è stato ascoltato per ore in una caserma della Gdf a Roma.

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Redazione
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