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Sistema Montante, l’ex dirigente regionale: «Mi chiesero di affiliarmi, erano tutta una cosa»

Di Mario Barresi |

Catania. «Erano tutta una cosa». Loro, quelli della «lobby della legalità», che aveva un’unica regola: «O con me o contro di me». Marco Romano, ex dirigente delle Attività produttive, racconta fatti, indica atti. E fa i nomi. La prima audizione sul sistema Montante, in commissione Antimafia regionale, è un viaggio nella macchina del tempo. E se le carte dei pm hanno fin qui mostrato la corruzione durante il governo di Rosario Crocetta, la testimonianza del docente universitario catanese sposta le lancette ancora più indietro: al 2011, epoca del Basso Impero di Raffaele Lombardo. Un prequel della storia, con i soliti coprotagonisti (e anche qualcuno in più) accanto a Montante, in cui qualcuno dei futuri “buoni” viene assimilato ai “cattivi”.

È un’audizione «molto interessante» per più di un membro della commissione che, come chiarito dal presidente Claudio Fava, non vuole «sovrapporsi all’inchiesta giudiziaria concentrata sull’esistenza di fattispecie penali», ma indagare «sulle distorsioni dei processi politici e di spesa», del sistema Montante, «un governo parallelo» che ha «ancora i suoi addentellati» dentro la Regione.

Romano narra la sua esperienza alla guida del dipartimento con il quale l’ex leader di Confindustria, intercettato, voleva fare «la terza guerra mondiale»: le Attività produttive, con Marco Venturi assessore. E anche al principale accusatore di Montante il dirigente attribuisce, in quei dieci mesi vissuti accanto, un ruolo. Così come ad Alfonso Cicero, oggi teste-chiave dell’accusa, all’epoca nello staff dell’assessore. Entrambi, seppur con ruoli diversi, «esecutori delle volontà di quel gruppo di potere». Nel quale, esplicitamente, Romano inserisce l’ex senatore Beppe Lumia, e, «in parte, con uno stile diverso», l’altro ex capo di Sicindustria, Ivan Lo Bello.

Certo, il racconto va contestualizzato a otto anni fa. Quando Romano, dirigente esterno già chiamato da Lombardo alla guida del 118, viene designato alle Attività produttive. Prima ancora della nomina Romano incontra Montante due volte: la prima da solo, la seconda assieme a Venturi. Il 9 gennaio il primo degli episodi che qualcuno in commissione ha definito «surreali». Il nominando dirigente generale firma «un foglio con degli impegni da assumere». In tre copie: una per lui stesso, una per Montante, una per Venturi. In apparenza nessun illecito (anche se fra i punti c’è qualche nome da nominare). Ma, più che il merito, colpisce il metodo. «Volevano che fossi un affiliato al loro gruppo, ma io con i fatti dimostrai che non ero interessato», racconta il docente di Economia. Citando, con non poca emozione, una serie di atti. Sul tavolo, fra l’altro, il divieto d’apertura di alcuni centri commerciali, proroghe di bandi e albi, incarichi a funzionari, fondi per Termini Imerese, anticipazioni di cassa a ex Asi, commissariamenti nelle Camere di Commercio. Le ultime due sono «le madri di tutte le battaglie», riferisce Romano. «Controllando gli enti camerali e l’Irsap, una stazione appaltante mostruosa, si può decidere chi in Sicilia può fare impresa e chi no».

Il docente catanese definisce i suoi rifiuti un delitto di «lesa maestà». Che scontò subito, con «pressioni fortissime», ma anche con «una campagna stampa alimentata dalle loro veline», «lettere anonime finite in atti ufficiali» e anche con «espliciti riferimenti a dossier su di me». Un altro episodio strano è la convocazione di Romano, da parte di un carabiniere di Palermo, per rendere dichiarazioni spontanee proprio su uno degli esposti. Dopo essersi difeso in quello che sembrava «un interrogatorio», l’ex dirigente voleva consegnare degli atti a supporto. «Il carabiniere mi disse di lasciarli in una busta chiusa anonima all’ingresso della caserma», ricostruisce Romano senza avanzare il legittimo sospetto che quella busta magari non sarebbe mai finita nel fascicolo.

Che c’entra Lombardo in tutto ciò? «Il presidente provò a difendermi finché possibile, ma poi cedette». Romano, magari per rispetto dell’allora suo dante causa, non contestualizza quei fatti. Né con il tumultuoso ingresso del Pd nella maggioranza lombardiana; né, soprattutto, con la rivelazione dell’inchiesta per mafia a carico del governatore. Ma descrive «la totale assenza della politica».. E svela all’Antimafia un altro aneddoto interessante: una delle ultime volte che, da dirigente, incontrò Montante. Lui che «in assessorato non veniva mai», lo convocò nella sede di Confindustria Sicilia. Un faccia a faccia «durissimo» poco prima che saltasse la testa del dirigente, «richiamato all’ordine» dall’ex paladino della legalità con «rimproveri molto veementi». Ma nel colloquio anche «alcuni passaggi, a me incomprensibili, su vicende che riguardavano il presidente». Un «messaggio» che Romano giura di non aver mai recapitato al governatore. Non dicendo che potrebbe riguardare una sorta di “polizza antimafia” che loro – quelli della «lobby della legalità», che «erano tutta una cosa» – avrebbero potuto offrire (o togliere dopo averla offerta) a Lombardo, sotto scacco per l’accusa di concorso esterno.

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