Mai nel Tribunale di Agrigento era avvenuto un riconoscimento del genere: «Scusi, riconosce questo pene come suo?». Domanda posta dal Pm all’empedoclino R.M., accusato di molestie via internet ai danni di una donna di Gela. All’imputato venne mostrata alcune settimane orsono in pubblica udienza la scottante foto, allegata a una delle mail volgari che tra il 2012 e il 2013 avrebbe inviato alla donna nissena, la quale non esitò a denunciare il tutto alla polizia postale. R.M. al cospetto della foto non ha riconosciuto quel fallo come proprio, evidenziandone le differenze (dal proprio punto di vista superiori).
Il processo è andato avanti fino all’udienza di ieri mattina, dinanzi al giudice Giuseppe Sciarrotta, nel corso della quale la Pm Margherita Licata ha chiesto la condanna dell’imputato a tre mesi di carcere. La Pm ha evidenziato come non vi fossero dubbi sull’origine di quelle mail volgari che sarebbero partite dal computer e dal router dell’empedoclino, all’indirizzo di quella donna di Gela. Ovviamente la Vpo Licata non è entrata nel merito della foto “disconosciuta” in aula dall’imputato, limitandosi a stigmatizzare le presunte violazioni penali dell’imputato. La donna non avrebbe conosciuto quel tizio di Porto Empedocle, tanto ardimentoso e volgare da inviarle una foto del proprio sesso.
Di diverso parere l’avvocato dell’imputato Giovanni Gallo Afflitto il quale ha evidenziato come il proprio assistito era stato a Gela, ma diversi anni orsono, ma che soprattutto non fosse certo che quelle mai siano state inviate dal proprio assistito, visto come sia facile violare gli indirizzi mail di chiunque al giorno d’oggi, da parte di abili appassionati di informatica. Una tesi questa che ha fatto centro, visto che il giudice Sciarrotta ha assolto l’empedoclino, per insufficienza di prove. In sostanza non è stato provato dalla pubblica accusa che quelle mail, in primis quella col fallo in “bella mostra”, siano state inviate dalla casella dell’empedoclino.