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LA CRISI IDRICA

Sicilia, il conto “salato” dei dissalatori: ecco quanto costa ripristinare i 3 impianti dell’Isola e produrre acqua potabile

Oltre ai 90 milioni stanziati per rimetterli in funzione, si calcolano spese ingenti per generare una fornitura idrica: importi che finirebbero per gravare sulle bollette

Di Fabio Russello |

Dismessi da anni ora i tre dissalatori della fascia centromeridionale della Sicilia, quello di Trapani, quello di Porto Empedocle e quello di Gela, saranno riattivati. La cabina di regia nazionale istituita al ministero delle Infrastrutture, come noto, ha dato il via libera a una spesa di 90 milioni per il ripristino.

Quando i tre impianti – che ora sono del tutto da “ricostruire” – erano in funzione, complessivamente, riuscivano a produrre anche fino a 90mila metri cubi di acqua al giorno e cioè circa mille litri al secondo (quanto il più grande dissalatore degli Emirati Arabi Uniti). Il più “capace” era quello di Gela, che era al servizio del Petrolchimico (e nonostante sia fermo da oltre 10 anni la Regione paga 10 milioni l’anno dopo una transazione con Eni e l’ultima rata è prevista l’anno prossimo): era in grado di produrre fino a 600 litri al secondo (anche se “solo” 270 l/s per usi potabili); poi c’è Trapani, situato in contrada Nubia nei pressi delle saline (è fermo dal 2014), leggermente più piccolo ma che riusciva comunque a produrre a pieno regime 400 litri al secondo e infine Porto Empedocle, situato nell’area di sviluppo industriale, fermo dal 2008, che produceva circa 100 litri di acqua al secondo.

Ma il vero punto è: la messa in funzione dei dissalatori risolverà l’emergenza idrica in Sicilia? La risposta è “ni”, perché l’acqua dissalata può essere solo un supporto e una integrazione rispetto a quella fornita dai pozzi e dagli invasi tenuto conto che il fabbisogno giornaliero di una provincia come ad esempio quella di Agrigento è di almeno 1.200 litri al secondo (bene o male identico consumo è quello delle province di Trapani e Caltanissetta). Per avere un altro punto di riferimento basti segnalare che i pozzi gestiti da Siciliacque nell’area centromeridionale della Sicilia possono produrre oltre 1.400 litri al secondo.

E poi c’è la questione dei costi e il riferimento non è ai 90 milioni stanziati attraverso i fondi Fsc regionali per rimettere in funzione gli impianti. Produrre acqua con un dissalatore ha costi astronomici: servono tra i 2 e i 3 euro al metro cubo. Per fare un raffronto, il costo di produzione dell’acqua dei pozzi, comprensivo anche dell’energia necessaria per i potabilizzatori, è di circa 0,10 centesimi al metro cubo, mentre ad esempio Aica, l’Azienda che gestisce il servizio idrico in provincia di Agrigento, acquista acqua da Siciliacque a 0,69 centesimi al metro cubo. Se si pensa che ogni provincia ha bisogno di almeno 100mila metri cubi al giorno, il costo, se la rete fosse alimentata dalla sola acqua dissalata, sarebbe tra i 200 e i 300mila euro ogni 24 ore.

Chi paga?

Chi paga? Difficile pensare che sia lo Stato o la Regione a farsi carico della spesa (servirebbero oltre 70 milioni l’anno per ogni provincia). Quindi il costo alla fine finirebbe per gravare sulle bollette degli utenti. Senza contare che nelle case dei siciliani arriva più o meno la metà dell’acqua immessa nelle condotte. Il resto si perde per strada a causa della vetustà delle reti idriche.

«Il dissalatore – ha spiegato l’ingegnere agrigentino Giuseppe Riccobene che ha anni di esperienza nel settore idrico – può essere una importante, decisiva, fonte di approvvigionamento emergenziale. Ma ad alcune imprescindibili condizioni, essenzialmente legate ai costi di gestione di tali impianti. La tariffa da corrispondere a Siciliacque è sette volte maggiore del costo dell’acqua prodotta dai pozzi. Quello della dissalata è venticinque volte maggiore l’acqua di pozzi o delle sorgenti. Tutti costi, per il noto principio del full cost recovery, che dovranno necessariamente gravare sulle bollette degli utenti, già particolarmente esose a fronte di un servizio scadente. I dissalatori, quindi – ha aggiunto l’ing. Riccobene – possono essere una validissima fonte di approvvigionamento, ma solo a condizione di ripristinare tutti gli obblighi in capo ai gestori del servizio, a iniziare dagli investimenti più importanti, alle manutenzioni costanti, al contrasto serio ed efficace a tutti gli sprechi e a tutti gli abusi. Ove ciò non sia realizzato con una rinnovata serietà politica e capacità tecnica, le prospettive sono francamente molto cupe, con o senza dissalatori».

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