CATANIA – «La diminuzione del fondo regionale alle associazioni antiracket? Per noi i contributi pubblici andrebbero azzerati». Nicola Grassi, presidente dell’Asaec di Catania, non usa mezzi termini: «Si può fare antimafia low cost».
È sicuro di ciò che dice? Proprio quando si levano le proteste per i tagli del governo regionale…
«Certamente. Lo abbiamo già detto quando c’era un emendamento, poi non approvato, per aumentare il capitolo di bilancio. E lo ribadiamo adesso: da anni, come Associazione Antiestorsione di Catania, denunciamo che questo fiume di denaro pubblico elargito all’antimafia poco o nulla ha prodotto se non scandali e corruzione».
Ma anche un’associazione sana può avere bisogno di fondi per sostenersi. Voi come fate?
«Senza un euro di contributo pubblico. Ma soltanto con contribuzioni, che sono di due tipi: quote associative e donazioni del cinque per mille».
E vi reggete sulle vostre gambe?
«Sì, perché la nostra concezione della lotta agli estorsori non contempla attività di sportello, già garantite dalle istituzioni. Ci concentriamo sul sostegno morale, sull’accompagnamento a chi denuncia, sulla campagna di sensibilizzazione contro il racket».
Ma anche queste attività costano.
«Un costo che riusciamo a coprire con contributi e donazioni. In questo momento sul conto corrente dell’Asaec ci sono quasi 10mila euro. Qualche giorno fa ci è arrivato il saldo dei contributi del cinque per mille per il biennio 2015/16: circa 2mila euro. Questi soldi, per quello che dobbiamo fare noi, sono più che sufficienti. Certo, se si vogliono fare libri, finanziare parate antiracket o convegni in posti a pagamento, i costi lievitano…».
E le spese legali per i processi?
«Questo è un altra inesattezza, che magari fa comodo a qualcuno diffondere. La costituzione di parte civile nei processi che riguardano le vittime non è a carico delle associazioni. Paga lo Stato, ci sono due leggi, una nazionale e una regionale, che lo dicono».
Ma sono in molti, nel fronte antimafia, a protestare per i tagli. Perché?
«Ognuno è libero di fare e dire ciò che vuole. Così come noi lo siamo di presentare alle forze politiche, sensibili al tema e disponibili all’ascolto, un modello di antiracket che non attinga a finanze pubbliche ma che si sostenga esclusivamente su contributi privati. Siamo pronti a discuterne con tutti».
Non c’è un nesso fra maggiore disponibilità di risorse e aumento delle denunce?
«No. E un dato statistico lo dimostra: a fronte di un fiume di denaro dei Pon Sicurezza, anche per finanziare nuovi sportelli, negli ultimi anni non s’è registrato un aumento di denunce».
C’è un altro modo per investire soldi pubblici per potenziare i risultati?
«Queste risorse pubbliche vengano destinati a rafforzare gli sportelli antiracket della Prefettura, già in affanno, per renderli più efficienti, agli uffici antiracket e antiusura delle forze dell’ordine, alle politiche sociali per aumentare l’occupazione e per sostenere le fasce più deboli».
Twitter: @MarioBarresi