I familiari del capomafia di Sciacca Salvatore Di Gangi, 79 anni, fedelissimo dell'ex capo dei capi Totò Riina, trovato morto in circostanze misteriose sui binari della ferrovia di Genova, hanno nominato un perito di parte che assisterà all’autopsia disposta dalla procura della Repubblica. A chiarire i motivi della decisione il figlio Alessandro: «Mio padre – dice – non è stato investito da un treno come è stato detto, ma assai probabilmente è morto per un malore sopraggiunto per un deficit da insulina». Di Gangi aggiunge di avere appreso dalla polizia ferroviaria che il macchinista del treno si sarebbe accorto del corpo riverso sui binari, fermandosi in tempo e lanciando l’allarme.
Il boss, che era detenuto nel carcere di Asti, era stato rimesso in libertà su disposizione della Corte d’Appello di Palermo, che aveva sostituito la pena detentiva a 17 anni (ridotti dai giudici a 13 anni e 4 mesi) con gli arresti domiciliari, che avrebbe dovuto scontare a Sciacca. «Ma della scarcerazione – dice il figlio – noi familiari non siamo stati avvisati, non è arrivata alcuna telefonata, non lo avremmo certamente abbandonato, anche perché mio padre era molto malato. È dal 2017 che presento istanze (tutte respinte) affinché gli venissero concessi gli arresti domiciliari per ragioni di salute, è chiaro che se fossimo stati informati ci saremmo precipitati per andare a prenderlo».
Il figlio del boss ipotizza dunque che per la scarcerazione non sarebbero state osservate le procedure corrette, chiarendo poi che Totò Di Gangi era affetto da diabete, che la famiglia ritiene essere stata la vera causa della sua morte. «Ogni giorno – dice Alessandro Di Gangi – veniva sottoposto a 4 somministrazioni di insulina».
Ma il boss, aggiungono i familiari, aveva anche patologie di tipo cognitivo e spazio temporale, che non lo rendevano più autosufficiente in termini di capacità di discernimento, e dunque aveva bisogno di seguire delle apposite terapie farmacologiche. «Eppure – osserva il figlio – appena fuori dalla prigione è stato infilato dentro ad un taxi che lo ha accompagnato alla stazione ferroviaria di Asti».
Stando alla ricostruzione dei fatti tuttora al vaglio della magistratura Totò Di Gangi ha raggiunto la stazione di Genova, dove è salito su un altro treno diretto al sud ma da cui è stato fatto scendere dal controllore perché era sprovvisto del Green Pass. È a questo punto che, sempre secondo i familiari, ha perso completamente l’orientamento, rimanendo per ben diciotto ore a girovagare lungo la stazione. Una circostanza, questa, su cui la polizia ferroviaria, su disposizione della procura della Repubblica, ha acquisito e sta visionando i filmati della videosorveglianza.
Alessandro Di Gangi confida che l’indagine della magistratura di Genova possa chiarire eventuali precise responsabilità sulle modalità osservate nella scarcerazione del padre. «È anche assurdo – conclude – che non avesse in tasca nemmeno il green pass (motivo per il quale è stato fatto scendere dal treno a Genova) malgrado però fosse stato regolarmente vaccinato con doppia dose».