CATANIA – La storia di Carmen Zagarella, una giovane madre di tre bambini, porta alla ribalta due emergenze del nostro tempo: la mancanza di un reddito e l’emergenza abitativa. Due problemi che, nel dicembre del 2017, le sono costati l’affido provvisorio dei figli, mentre il marito si trovava – e si trova tutt’oggi – in una casa famiglia.
A nulla è valso il tentativo di fare richiesta all’Istituto autonomo case popolari, nel marzo dello stesso anno, per salvare il salvabile: la graduatoria per disagio sociale è ferma ancora al 2015. Nell’attesa che la burocrazia faccia il suo corso, Carmen, con la mamma Giuseppina e la piccola Pallina, una cagnolina bianca tutto pepe, continua ad abitare in un appartamento in via Saffi, che le era stato concesso dai nonni materni. Si sostengono con 294 euro al mese, quanto previsto dal Reddito di inclusione della madre e che, a stento, permette loro di comprare il necessario per mangiare.
Ma lo scorso 10 ottobre si è aggiunto un altro dramma: il Tribunale di Catania ha disposto lo sgombero dell’immobile per “abusiva e illegittima occupazione”, si legge nella missiva. «Si tratta di un’azione che coinvolge l’ambito familiare e ciò rende tutto più doloroso e difficile – dichiara Orazio Vasta di Asia Usb che, assieme al responsabile regionale, Claudia Urzì, assiste Claudia – Nella vicenda c’è, anche, del tragico e pure del grottesco: lo sgombero è disposto verso persone prive di reddito, che lo Stato è pronto a lasciare per strada e, approfondendo i fatti, si comprende che non si è di fronte a un’occupazione indebita di immobile».
«Era il 12 dicembre del 2017 – racconta Carmen con gli occhi lucidi – quando, rientrata in casa, trovo la serratura scardinata e le stanze vuote. In quel periodo ero ospite in un appartamento sfitto di un amico di famiglia, che aveva accolto la mia richiesta di aiuto, dandomi la possibilità di offrire un tetto più dignitoso ai miei figli. Ma, a quanto pare, il Tribunale dei minorenni aveva già dato disposizione».
Cos’ha provato?
«Temevo il peggio: dopo avere contattato il 118 e gli ospedali, mi sono rivolta ai carabinieri. Sono stati loro a darmi notizia del provvedimento, rassicurandomi che i bimbi erano al sicuro con la nonna e invitandomi a raggiungerli al centro sociale. Successivamente, il giudice ha disposto il nostro collocamento in una comunità. Sembrava essere una buona soluzione, ma un giorno li ho lasciati in comunità per contattare un avvocato che mi offrisse il libero patrocinio. Al mio rientro, non li ho più trovati: mi dissero che erano stati affidati a uno o più famiglie».
Da quanto tempo non li vede?
«Da otto mesi. È straziante pensare che tutto questo sia accaduto perché non ho un lavoro, né una casa adeguata a crescerli, ma resto la loro madre… ».
Ha provato a cercare un impiego?
«Sì, ogni giorno, controllando le offerte di lavoro e col passaparola. Purtroppo, però, mi si richiede esperienza, anche per i lavori più umili. Mi sono pure recata al Centro per l’impiego, ma anche lì sono stata categoricamente informata che è impossibile, almeno per ora, trovare lavoro. La mia unica speranza è quella di potere ottenere un alloggio popolare, ma le graduatorie sono ferme al 2015 e ci sono famiglie in lista da anni».
A questo punto, quali sono le sue prospettive?
«Mi aspetta l’obbligo di sgomberare da via Saffi. Ma così facendo, finirei per strada… ».