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Scorie nucleari in Sicilia: quali sono i siti “scelti” per stoccare 95mila metri cubi di rifiuti

L'ipotesi è quella di utilizzare le miniere dimesse

Di Giambattista Pepi |

La Sicilia è la regione individuata in via prioritaria per poter ospitare il deposito nazionale sotterraneo di scarti della filiera dell’atomo dismessa e scorie della medicina nucleare dall’industria. La decisione definitiva non c’è ancora, vista la delicatezza della scelta, ma ora la regione raccoglie il maggior interesse ed è balzata in testa a tutte le altre essendo stata riconosciuta potenzialmente idonea per la presenza di miniere dismesse ad ospitare il deposito. Pur non essendo ancora stato scelto il sito, le miniere dismesse da tempo della provincia di Enna (Bosco e Pasquasia) sono considerate appropriate, anche se bisognerà adeguare il sito visto che lo stoccaggio dei materiali ancora radioattivi e dunque pericolosi per la salute, richiederà la realizzazione di un’infrastruttura rafforzata con il ricorso a determinati materiali che la rendano sicura.

Cosa sono

I nostri rifiuti radioattivi di medio e basso livello si trovano attualmente in una ventina di depositi temporanei sparsi per tutto il territorio nazionale; le scorie radioattive si trovano, invece, in Francia e in Inghilterra, dove sono state sottoposte a riprocessamento (che consiste nella separazione di alcuni isotopi fissili per riciclarli): dovranno però rientrare nel nostro Paese quanto prima dal momento che le normative europee prevedono che ogni Stato debba gestire i propri rifiuti radioattivi in autonomia.

La carta nazionale

In passato, era stata predisposta una Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnai) di sette regioni ma dopo il via libera dei ministeri competenti dello Sviluppo economico e della Transizione ecologica, era stata tenuta sotto chiave dal momento che aveva generato proteste e diffidenze nelle popolazioni dei comuni finiti nel radar della Sogin (la società pubblica che ha il compito di localizzare, progettare, realizzare e gestire il deposito nazionale, in base a quanto previsto dal decreto legislativo n. 31 del 2010 e successive modifiche), perché, stando ai 28 criteri stabiliti dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) avrebbero le carte in regola per ospitare l’impianto. Ma più passa il tempo, più cresce l’allarme delle comunità locali, nessuna delle quali finora si è detta favorevole ad averlo sul proprio territorio. E, se nessuno si fa avanti, toccherà ai ministeri prendere l’iniziativa cioè scegliere dove farlo, su un tema che tradizionalmente non attira le simpatie delle urne.

Il progetto Enea

Il progetto, già approvato, è dell’Enea, l’Ente pubblico di ricerca che opera nei settori dell’energia, dell’ambiente e delle nuove tecnologie e del supporto delle politiche di competitività e di sviluppo sostenibile, vigilato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica. Nell’infrastruttura, che occuperà una superficie di 150 ettari, saranno stoccati 95mila metri cubi di rifiuti radioattivi, tra scarti provenienti dalle centrali nucleari dismesse e scorie della medicina nucleare generati dall’industria. Costerà un miliardo di euro. Per costruirlo occorreranno 4mila addetti, mentre a regime l’impianto per la gestione e manutenzione occuperà 700 addetti. L’infrastruttura dovrà essere pronta entro il 2030. L’impianto sarà composto di novanta costruzioni in calcestruzzo armato, dette celle, che a loro volta conterranno dei moduli in cemento, dove saranno collocati i contenitori di metallo con i rifiuti. Una sorta di matrioska dove verranno sigillati per almeno 300 anni. A fianco del deposito sorgerà un parco tecnologico per la ricerca e lo studio sui rifiuti nucleari.

La guerra in Ucraina e i bombardamenti a tappeto delle forze armate russe che non hanno risparmiato nemmeno le centrali nucleari per la produzione di energia elettrica come Chernobyl e Zaporizhzhia, la più grande del Paese orientale, ha alzato il livello di guardia in Europa per proteggere le popolazioni da eventuali contaminazioni dovute a fughe anche accidentali di materiale radioattivo dai reattori. Così il Governo, dopo 12 anni, ha aggiornato il Piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari per fronteggiare le conseguenze di eventuali incidenti in impianti nucleari di potenza ubicati “oltre frontiera” in Europa e in Paesi extraeuropei.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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