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Sant’Agata, per Catania la vigilia più amara senza “abbraccio” alla Patrona

Di Cesare La Marca |

L’assenza delle candelore trasmette un senso di tristezza infinita, in città il silenzio si stende come un velo da via Etnea e piazza Duomo fino ai quartieri e ai mercati storici dove non risuonano le marcette a ritmo di jazz e musica popolare che accompagnano lo sforzo dei portatori; non ci sono le bancarelle con i dolci tipici né l’illuminazione di ogni 5 febbraio, così in queste ore anche ai devoti più tiepidi e perfino ai semplici osservatori tocca scoprire tutta l’amarezza dell’abbraccio per quest’anno inevitabilmente rinviato con Sant’Agata, e l’importanza di queste celebrazioni, che riportate nella loro giusta dimensione hanno per la città un enorme significato, oltre che religioso anche storico e culturale, legato alle tradizioni popolari, all’identità e alla memoria di generazioni di catanesi.

I drappi rossi con la “A” dorata ai balconi dei palazzi storici ci ricordano l’imminenza delle celebrazioni, ma i luoghi di Agata sono semideserti, come le chiese e l’altarino con la statua della martire di via Dusmet, dove non ci sono devoti col sacco bianco ad accendere ceri e recitare preghiere.

A poche decine di metri, anche in via Porticello si vive una vigilia difficile, che mai si sarebbe potuta immaginare. Qui hanno sede alcune delle cererie storiche della città, ogni anno in questo periodo affollate di devoti che acquistano candele e ceri di varie dimensioni, oltre ai torcioni entrati nella cronaca della festa per la questione della cera sparsa anche su basole e asfalto che poi rende scivolose le strade.

All’interno della cereria Cosentino solo un paio di signore stanno acquistando delle candele. «Ce ne sono molto piccole, da 40 centesimi e 45 centesimi, per pregare a casa – dice Giuseppe Leonardi, titolare dell’azienda – ma non è lo stesso, non ne stiamo vendendo molte, poi abbiamo i ceri di medie dimensioni, con un calo stimabile intorno al 90 per cento. Invece la richiesta dei torcioni più grandi è stata completamente azzerata».

Lo stop forzato alla processione ha dunque colpito duramente un settore in cui operano aziende storiche a conduzione familiare. «I torcioni più comuni sono quelli da venti chili, poi ci sono quelli da cinquanta chili, e anche da sessanta, settanta e fino a cento chili, per costi che variano dai cento ai trecento euro. L’annullamento del corteo e del giro del fercolo ha fatto crollare la richiesta, c’è molta tristezza per questa situazione, ma purtroppo è andata così. Noi stimiamo un calo totale del 95%, perché oltre alla mancata vendita delle torce più grandi stiamo vendendo pochissime candele, perché per il devoto il significato della candela è quello di tenerla accesa seguendo il percorso di Sant’Agata, altrimenti il gesto non è sentito allo stesso modo. Ormai aspetteremo la Pasqua, che l’anno scorso è stata anch’essa azzerata dalla cancellazione di messe e veglie pasquali, e così è andata con tutte le feste patronali dei vari paesi dell’hinterland, speriamo che l’emergenza finisca. Nonostante tutto resistiamo e portiamo avanti questa attività storica che spero di non chiudere mai, parliamo di un’azienda fondata nel 1795, una delle più antiche d’Italia. Ci tengo a dire che sui torcioni abbiamo sempre raccomandato ai devoti di farne un corretto uso e non accenderli fuori dagli spazi consentiti».

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