RIMINI – Per la seconda volta a distanza di poco più di un anno la Procura di Agrigento ha iscritto nel registro degli indagati Matteo Salvini per avere impedito a una nave con profughi a bordo di attraccare in porto. I reati contestati sono il sequestro di persona e l’abuso d’ufficio. L’iscrizione risale a sabato. Ieri gli atti sono stati trasmessi alla Procura di Palermo, che potrebbe confermare o modificare le contestazioni ipotizzate dai colleghi prima di trasmettere tutto al tribunale di ministri del capoluogo, unico organo competente visto il coinvolgimento di un ex esponente del Governo. Salvini, all’epoca dei fatti – siamo ad agosto scorso – era infatti il titolare del Viminale.
L’accusa riguarda il caso dei 164 migranti salvati il primo agosto scorso dalla nave della Ong Open Arms a cui fu vietato dall’allora ministro dell’Interno l’ingresso nelle acque italiane. La nave rimase 20 giorni ferma davanti a Lampedusa. Furono poi i magistrati di Agrigento, in seguito a un’ispezione a bordo, a ordinare lo sbarco d’urgenza dei profughi.
«Chiederò conto di quanto costano queste indagini, quanto tempo stanno perdendo e quanto denaro pubblico degli italiani stanno spendendo per indagare o perseguitare Matteo Salvini come pericoloso sequestratore», ha commentato il leader della Lega. “Penso che ad Agrigento o in Sicilia – ha continuato – ci siano delinquenti veri o reati ben più gravi da perseguire che non andare a contestare politicamente una scelta che è quella di difendere i confini». Il procedimento per il coinvolgimento di un esponente del Governo è disciplinato dalla legge costituzionale 1 del 1989 che prevede che i pm ora hanno 15 giorni di tempo per fare le loro valutazioni sul caso. Gli inquirenti palermitani, infatti, potrebbero condividere l’impianto dei colleghi di Agrigento e chiedere al tribunale dei ministri di investire della vicenda il Senato perché dia l’autorizzazione a procedere per Salvini; o al contrario chiedere l’archiviazione. Ma c’è una terza ipotesi: potrebbero invitare i giudici ad approfondire alcune questioni.
Il procuratore di Agrigento aveva aperto già ad agosto un fascicolo di indagine sulla Open Arms a carico di ignoti. Nell’ambito dell’inchiesta, che non aveva indagati, (se ne avesse avuti, infatti, il magistrato avrebbe dovuto immediatamente trasmettere a Palermo e non avrebbe potuto svolgere alcun atto) ha compiuto una serie di accertamenti, giungendo poi all’incriminazione di Salvini. Per correttezza, però, l’autorità giudiziaria funzionalmente incompetente non dovrebbe anticipare alcuna conclusione e dovrebbe limitarsi a mandare gli atti ai colleghi della Procura del distretto in cui si trova il tribunale dei Ministri perché facciano loro le valutazioni del caso. Una condotta che eviterebbe iscrizioni da parte di un ufficio che, secondo quanto prevede una legge costituzionale, non può farne.
La vicenda Open Arms riporta alla mente il caso Diciotti: ad agosto del 2018 Salvini impedì l’attracco in un porto italiano della nave della Marina che aveva raccolto un centinaio di profughi e si ritrovò indagato ad Agrigento insieme al suo capo di Gabinetto. Gli atti finirono alla Procura di Palermo che modificò le accuse, escludendo alcuni reati, e trasmise al tribunale dei Ministri. I giudici, fatte le indagini, si dichiararono incompetenti territorialmente, individuando nei colleghi di Catania i magistrati titolati a occuparsi del caso. La Procura etnea chiese l’archiviazione. La palla passò al Tribunale dei Ministri di Catania che, a sorpresa, incurante della valutazione dei pm, presentò al Senato la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell’allora ministro dell’Interno. A salvare il leader della Lega fu il voto del Parlamento.