In punta di piedi e senza clamore, fa sentire la propria voce la mamma affidataria di Vittorio Fortunato, il neonato che il 4 novembre del 2020 la madre ha partorito a Modica e consegnato al padre che lo ha buttato in un sacchetto di plastica vicino ai cassonetti dei rifiuti a Ragusa fingendo un ritrovamento casuale. La donna che ha preso con sé quel fagottino di appena sedici giorni sopravvissuto per miracolo, non ha mai parlato. Rispettosa della legge e del suo bambino con cui da tre anni condivide la vita.
Parla adesso che un Tribunale ha sentenziato la riconsegna del piccolo alla madre biologica che sostiene di rivolere quel figlio che non è riuscita ad abortire e per il cui abbandono è tuttora sotto processo. Parla perché il silenzio, la dignità e il rispetto non sono serviti e soprattutto perché non siano confusi con indifferenza o disinteresse: la legge non le dà alcuna facoltà d’intervento. Nessun diritto. Il dolore però non c’è norma che possa fermare. Nè logica che possa confortare.
Ma ora – come dice lei stessa nell’audio che pubblichiamo – si sente costretta a intervenire dalle circostanze: «Siamo rimasti in disparte finora per garantire la massima tutela di nostro figlio – afferma anche a nome del marito – ma crediamo sia giunto il momento di dire le cose come stanno. Nostro figlio non ha scelto di essere il protagonista di questa storia, e non gli si può chiedere di diventarne la vittima. Non gli si può chiedere di ricalcolare la sua vita, perché quando hai tre anni, tre anni sono tutta la tua vita. come si può pensare di aggiungere un abbandono a un altro abbandono. Niente di tutto questo è nell’interesse del minore. Se nessuno in questa nazione riesce a mettersi nei panni di un bambino, se nessuno riesce a tutelarlo e prevale un sistema adultocentrico a danno di un minore, allora significa che l’Italia ha fallito»
La donna mostra anche la volontà di non perdere la speranza: «Rimaniamo fermi credendo che c’è un giudice sopra ogni giudice che non fallisce mai e che vegli sulla vita di nostro figlio».
Lei, mamma di cuore, è del dolore del bimbo che si preoccupa e non vorrebbe mai che pensasse di essere stato abbandonato né da lei né dal suo papà, gli unici genitori che conosce e che insieme firmano anche la lettera che di seguito pubblichiamo.
C’era una volta… «C’era una volta una casetta nel bosco…» è l’inizio di una storiella che raccontiamo a cena tutte le sere. «C’era una volta una zanzarina…» è l’inizio di una storiella che ci fa compagnia sul fasciatoio mentre cerchiamo sul muro bianco l’insettino che ci ha ronzato nelle orecchie. «C’erano una volta una mamma e un papà che non dormivano mai…» è l’inizio di una storia che un giorno ti racconterò e che scrivo adesso, nel cuore della notte, distesa sul divano con te che dormi sul mio cuore. Di notti insonni ne abbiamo trascorse tante, tutte, a dire la verità, dalla prima, quando eravamo tre perfetti sconosciuti, ad oggi che viviamo in simbiosi, inseparabili. Ti svegli per toccarci il viso ed assicurarti che siamo ancora lì con te, cerchi papà, poi ti giri verso me, mi accarezzi, chiedi il latte e ti riaddormenti. Noi no, abbiamo smesso di dormire molto tempo fa quando le nostre vite sono state travolte da un mare in tempesta e le nostre bocche hanno iniziato ad inghiottire bocconi amari. Adesso sei piccolo e felice e le storielle che ti raccontiamo sono tutte allegre e a lieto fine, non sia mai che si presenti un lupo cattivo o un orco, neanche se fosse simpatico e divertente come Shrek, perché a te proprio non piacciono gli imprevisti che ti lasciano con il fiato sospeso. Sai cos’è il fiato sospeso? Il fiato sospeso è quello col quale io e papà annaspiamo da tre anni, da quando sopravviviamo appesi ad un filo sottilissimo che sembra doversi spezzare da un momento all’altro con il rischio di precipitare nel vuoto.
Quando sarai grande ti racconterò di un dolore devastante che ci ha lacerato il cuore e che in un solo giorno mi ha tinto di bianco i capelli, ci ha dato due pugni sugli occhi e uno nello stomaco e ci ha buttati con le ginocchia per terra. Protagonisti di strazianti giorni di cordoglio, immaginandoti solo in casa di estranei, piangere disperatamente dietro la porta d’ingresso, cercando la mamma e il papà senza trovarli, addormentandoti sfinito e soffocato dalle lacrime, credendo di essere stato abbandonato dalla tua famiglia, solo, in balia di un dolore troppo grande, privato dei tuoi affetti, delle tue certezze, del tuo nido caldo e delle braccia che ami tanto stringere. Disperata, ho immaginato di dover preparare per te una valigia, chiedendomi in quale indumento o giocattolo avresti potuto trovare conforto quando ti saresti sentito spaesato, la risposta è stata: nessuno! Non esiste niente e nessuno in grado di sostituire la mamma e il papà.
Ma torniamo alla nostra storia… sai cosa è successo quel giorno in cui la vita ci ha buttato a terra? È successo che mentre eravamo in ginocchio, atterrati ed apparentemente sconfitti, abbiamo scelto di credere nell’impossibile andando oltre ogni previsione umana, aggrappandoci con le ultime forze rimaste alla speranza di non doverti mai costringere a dirci addio.
La fede non ammette dubbi, è per questo che ti preannuncio il lieto fine, stai tranquillo piccolo mio, non temere, non tenere il fiato sospeso, non sarai tu a pagare il prezzo più alto per errori commessi da adulti… Lo dico prima a noi e poi a tutta l’Italia: non esiste genetica che possa replicare la potenza dell’amore che ci unisce. Sei tutto! Lo stupore e la meraviglia, le risate al parco giochi, sei il visino rosso per la febbre e la vocina che singhiozza: «Mamy, in braccio» mentre rimaniamo incollati giorno e notte finché la temperatura non scende, sei «papi, ancora baci» la mattina appena sveglio e «Mamma, mi sei mancata» quando torni dall’asilo.
Sei il sole in questa estenuante tempesta. Sei indelebile quando appoggi le tue manine sulle mie guance, mi fissi e mi dici: «Mamma, mia vita!» In questa notte, mentre ti guardo dormire e per sempre, ti dirò: «Ti amiamo infinitamente».
Mamma e Papà
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