ROMA – La presidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi, non ha dubbi: Totò Riina, uno maggiori dei capi di Cosa Nostra, arrestato dopo una lunga latitanza nel 1993 e ritenuto responsabile dei più gravi delitti di mafia degli ultimi trent’anni, a cominciare dalle stragi di Capaci e via D’Amelio, non solo è ancora pericoloso e non ha mai mostrato segni di ravvedimento, ma, da detenuto presso l’Ospedale Maggiore di Parma, dove è ricoverato in regime di 41 bis, è bene assistito, addirittura in condizioni «di cura e assistenza continue che sono identiche – se non superiori – a quelle che potrebbe godere in status libertatis o ai domiciliari». E dunque può dignitosamente vivere e, quando sarà, morire in regime carcerario, «a meno che non si voglia postulare l’esistenza di un diritto a morire fuori dal carcere non riconosciuto dalle leggi».
Ieri, senza alcun preavviso, dopo il clamore suscitato dalla pronunzia della Cassazione che nei giorni scorsi aveva chiesto al tribunale di sorveglianza di Bologna di motivare nuovamente il diniego al differimento dell’esecuzione della pena chiesto, per motivi di salute, dal legale del capomafia, la presidente dell’Antimafia, con i vicepresidenti Luigi Gaetti (M5S) e Claudio Fava (Articolo 1) è andata all’Ospedale Maggiore di Parma, dove è ricoverato Riina, e poi presso la casa di reclusione di Parma. All’Ospedale Maggiore di Parma i tre componenti dell’Antimafia – come ha riferito oggi la stessa Bindi all’intera Commissione – hanno potuto constatare che il detenuto, con il quale hanno preferito non parlare, si trovava seduto su una sedia a rotelle, «in buon ordine e con uno sguardo vigile».
La camera dove si trova – ha spiegato Bindi ai parlamentari – è di confortevoli dimensioni, assolutamente corrispondente a una qualsiasi stanza di degenza ospedaliera, dotata di bagno privato attrezzato per i disabili e in ottime condizioni igieniche. Il personale medico ha spiegato che Riina si alimenta autonomamente, è tenuto sotto stretta osservazione medica e che le sue patologie non presentano manifestazioni acute. Dal punto di vista intellettivo, come chiarito dai medici e come confermato dagli agenti del GOM addetti alla sorveglianza h24, Riina interloquisce normalmente, svolge i colloqui con i familiari e con il suo difensore, scrive lettere ai parenti, legge senza difficoltà quelle che riceve, partecipa alle udienze.
«In carcere, dove potrebbe rientrare nel caso in cui il suo stato di salute dovesse consentirlo, nonostante le ristrette dimensioni della cella, corrispondenti a quelle inserite nelle sezioni dedicate al regime del 41-bis – ha raccontato Bindi -, vi era già un letto di degenza, seppure con sistema manuale di vecchia tipologia che, come spiegato dal direttore del carcere, venne fornito al detenuto sin dal momento in cui ne fu imposta la prescrizione, da oltre un anno. Inoltre, il direttore ha aggiunto che è già stato realizzato il progetto per ampliare la stanza in modo sia di installare un letto ospedaliero più moderno e per creare un bagno accessibile con la sedia a rotelle».
I lavori, iniziati oggi, termineranno nel giro di pochi giorni. Piuttosto Bindi ha sottolineato che non sempre le strutture ospedaliere pubbliche hanno, nella sezione riservata ai detenuti, un numero di celle sufficienti per rispondere a richieste di cura e di assistenza che si prevedono crescenti ed è quindi necessario adottare tempestivamente soluzioni di ricovero e cura ottimali, per quanto possibile intramurarie dentro il sistema carcerario. Le affermazioni della presidente sono state pienamente condivise dai due vicepresidenti Fava e Gaetti (quest’ultimo è anche medico), dal capogruppo del Pd Mirabelli «per la Direzione Nazionale Antimafia Totò Riina è ancora il capo della mafia, deve restare al 41 bis», dal Pd Davide Mattiello: «brava Bindi, ha tolto ogni alibi». Per Marcello Taglialatela (FdI) è «prioritaria la sicurezza dei cittadini, muoia in carcere».
Diversa la posizione del Pd Marco Di Lello, segretario dell’Antimafia, «se Riina va a casa si dimostra che lo Stato è più forte della mafia, io non ho paura di lui e quindi la penso così, non c’è bisogno di andare sotto il grado di civiltà». “Come ho argomentato a Riina non viene negata alcun tipo di assistenza ed è in una situazione carceraria che ha piena dignità. Lo stato vince in questo modo», ha replicato Bindi.