Ribera, la Dia ha confiscato 800 mila euro ai Capizzi
Ribera, la Dia ha confiscato 800 mila euro ai Capizzi
Il provvedimento del Tribunale di Agrigento nei riguardi di Simone Capizzi e il figlio Giuseppe. Simone Capizzi sta scontando l'ergastolo per l'omicidio del maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli VIDEO
La Direzione Investigativa Antimafia di Agrigento ha eseguito la confisca di beni per un valore di 800 mila euro a carico di Simone Capizzi di 73 anni e e del figlio Giuseppe Capizzi di 50 anni entrambi originari di Ribera, al momento detenuti e considerati elementi di spicco di “cosa nostra” agrigentina. I provvedimenti di confisca sono stati emessi dal Tribunale di Agrigento dopo le indagini della Dia e della Dda di Palermo.
Simone Capizzi è detenuto da ormai 23 anni è stato condannato all’ergatolo per l’omicidio del maresciallo dei Carabinieri Giuliano Guazzelli, di cui proprio oggi ricorre il 24° anniversario della morte. Divenne capo della mafia riberese dopo l’uccisione di del boss riberese Carmelo Colletti, nel 1983, dopo il quale ha ottenuto la benedizioni di Totò Riina. Il figlio Giuseppe Capizzi è stato arrestato nel 2006 ed è stato condannato a otto anni per associazione mafiosa. La Corte di Appello lo ha poi condannato anche a dieci anni per estorsione aggravata dal metodo mafioso mentre gli investigatori hanno provato i siioi rapporti con l’ex latitante Giuseppe Falsone ex numero uno della mafia agrigentina.
Dei Capizzi si parla anche nei pizzini sequestrati nel covo di Bernardo Provenzano e a Antonino Giuffrè, poi pentitosi, relativi ad un contrasto sorto tra Giuseppe Capizzi e Giuseppe Grigoli, ritenuto un prestanome di Matteo Messina Denaro, nell’ambito di alcune forniture perun supermercato aperto a Ribera.
Ai Capizzi sono stati confiscati dieci terreni e 3 fabbricati del valore complessivo stimato in oltre 800 mila euro. I sigilli sono stati posti perché dalle indagini della Dia di Agrigento è emerso che, nei primi anni ’90, i formali intestatari degli immobili, avevano venduto o promesso in vendita gli stessi alla famiglia Capizzi, tramite scritture private non registrate e senza formalizzare la compravendita, allo scopo di eludere i controlli della forze dell’ordine e della magistratura.
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