PALERMO Diversi capimafia, come il boss ergastolano agrigentino Giuseppe Falsone, sarebbero riusciti a parlare tra loro, a scambiarsi messaggi – nonostante fossero detenuti al carcere duro – e a far arrivare ordini all’esterno. In alcuni casi, secondo le indagini, grazie alla complicità di alcuni agenti di polizia penitenziaria addetti ai controlli dei carcerati al 41 bis, a volte riuscendo, per falle del sistema, a eludere la sorveglianza e a passare informazioni a gesti senza essere intercettati. Emerge dall’inchiesta dei carabinieri del Ros che oggi ha portato a 22 fermi.
L’indagine ha accertato inoltre che boss di Agrigento, Trapani e Gela, tutti detenuti nel carcere di Novara, sfruttando inefficienze nei controlli dialogavano tra loro riuscendo anche a saldare alleanze tra cosche di territori diversi. Durante l’inchiesta, è stata anche intercettata una telefonata di un agente di polizia penitenziaria in servizio ad Agrigento all’avvocata indagata: i due avrebbero parlato di un assistito della legale, detenuto in cella per mafia. L’agente avrebbe informato la donna che il suo cliente l’indomani sarebbe stato spostato in aereo in un altro carcere.