”Restituiscimi la mappa delle stelle”
”Restituiscimi la mappa delle stelle” Alla Plaia la preghiera laica dei migranti
Il viaggio della speranza e la tragedia in un testo teatrale / FOTO
CATANIA. «Una preghiera. Un abbraccio», all’imbrunire, sulla battigia dove s’infrangono le onde del Mediterraneo che per loro, i migranti arrivati sui barconi, è via di speranza e luogo di morte. Quando hanno saputo dell’ennesimo naufragio, dell’ecatombe davanti alle coste della Libia, il gruppo teatrale multietnico “Liquid Company” ha deciso che doveva dare voce a tanto dolore e a tanta speranza, e farlo con il proprio linguaggio, quello dell’arte e della poesia. Il gruppo è composto da migranti arrivati da Eritrea, Sudan, Egitto, Guinea Bissau, Senegal, Filippine, Vietnam.
Tra loro anche qualche italiano, a partire dall’attrice e regista Emanuela Pistone che ha creato il gruppo teatrale, nato da una costola dell’associazione “Isola Quassùd”, un neologismo per dire che la Sicilia è insieme sud d’Europa e nord d’Africa, ponte, terra di transito, d’approdi, d’incontri. Il gruppo ha cominciato a fare teatro come strumento d’integrazione. Poi il naufragio di Lampedusa, 370 persone inghiottite dalle onde il 3 ottobre 2013. Allora hanno cominciato a costruire un proprio testo teatrale, una rappresentazione in progress per raccontare il proprio viaggio, la loro esperienza di salvati e quella di coloro che non ce l’hanno fatta, i sommersi.
Un testo di straziante potenza che narra la morte per esaltare la vita. Un testo che è la base della “preghiera” che la “Liquid Company” ieri ha voluto alzare proprio alla Plaia, dove il 10 agosto del 2013 annegarono 6 migranti, a pochi passi dalla salvezza. Una scelta forte, terribile, soprattutto per due di loro, ragazzi egiziani minorenni che in quel naufragio hanno visto morire i propri compagni. Ragazzi accolti dapprima in comunità e che poi Emanuela Pistone ha voluto con sé, perché avessero di nuovo una casa, un nucleo di affetti. Insieme hanno deciso di rappresentare i propri “quadri” sulla riva del mare, di quel mare, di quel tratto di costa. Un modo per tentare di superare il senso d’impotenza di fronte a questa strage continua, un modo per lanciare un appello alla comunione e alla speranza e per esprimere il bisogno di un abbraccio e di sostegno reciproco.
«Con il teatro – dicono – non si cambia il mondo, ma si possono toccare le coscienze. Un primo passo per diventare e fare altro». Alcuni di loro sono studenti, altri seguono corsi di formazione, altri lavorano, altri ancora fanno da mediatori culturali e da interpreti, soprattutto in questi giorni in cui a Catania si sono riversati giornalisti da tutto il mondo. Eccoli sulla sabbia, neri vestiti di bianco, mentre evocano la partenza con le parole di Gianni Rodari. Raccontano della valigia dell’emigrante che contiene un po’ di terra del villaggio e poco altro. «Ma il cuore no, non l’ho portato. Nella valigia non c’è entrato. Troppa pena aveva a partire».
Poi la traversata, la speranza, il sogno. «Quando arriveremo in Europa avrò tanti soldi che potrò spedire ogni mese a casa, poi potrò acquistare una macchina e una casa al paese. È importante arrivare in Europa». Passano le ore, i giorni. «Ci sono 50° gradi e non abbiamo acqua. Dobbiamo bere la nostra pipì. Più che persone sembriamo un ammasso di spazzatura. Non abbiamo diritto di vivere». «Abbiamo paura. Ognuno di noi tiene in mano la Bibbia o il Corano, ma la preghiera è una sola, in una sola lingua». Ora sono in alto mare. I ragazzi biancovestiti alzano un grande telo di plastica trasparente che si fa orizzonte, onda e poi tetto quando tutto è perduto. Le mani annaspano invano in cerca di un sostegno, di aiuto.
«Nostra patria è una barca – dicono con Erri De Luca – un guscio aperto. Potete respingere, non riportare indietro. È cenere dispersa la partenza. Noi siamo solo andata». Il naufragio è compiuto. Allora il telo diventa sudario su cui riporre quanto resta di vite sommerse, relitti riportati al galla dal flusso delle onde. Ed è allora che Mustafà Abdelkarim, sudanese, studente di Scienze politiche a Catania, intona la poesia che ha dedicato alla madre e alla sua terra lontana. «Restituiscimi la mappa delle stelle, insieme alla rondini, in modo che io possa ritrovare il cammino e la strada che porta al tuo nido». Poi è tempo di affidare i fiori al mare. «La vita è bella», cantano i «salvati». Bella, nonostante tutto.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA