Reperto o pezzo d’antiquariato? Ecco tutta la verità sulla Biga di Morgantina

Di Marta Furnari / 20 Ottobre 2019

Ad Aidone era risaputo già da tempo che la biga rubata al cimitero di Catania e recuperata dai carabinieri non fosse un pezzo archeologico proveniente dall’area di Morgantina.

L’11 giugno del 2016 nella biblioteca comunale aidonese si tenne infatti un convegno organizzato dall’Archeoclub in cui ci fu un ampio dibattito sulla datazione e origine della biga bronzea posta sul tetto della cappella Sollima nel cimitero monumentale di Catania. A fronte delle ipotesi storiche del farmacista Salvatore Cosentino, in molti, esperti e studiosi, tra cui il docente di archeologia classica dell’Università di Catania Dario Palermo e il magistrato e scrittore Silvio Raffiotta, affermarono che la biga non poteva assolutamente essere un reperto proveniente da Morgantina. Da quella conferenza con ogni probabilità nacque verso l’opera un duplice interesse: uno con intenti criminali da parte di coloro che da lì a poco la rubarono e quello con il nobile fine di ristabilire la verità storica come quello di Antonella Privitera esperta scientifica ed in archeologia giudiziaria e crimini contro il patrimonio culturale, che ha condotto una ricerca lunga oltre un anno. Ad Antonella Privitera abbiamo chiesto di raccontarci com’è andata esattamente la vicenda della biga che in realtà a Morgantina non c’è mai stata ma che invece proverrebbe da una famosa fonderia napoletana.

«Ho appreso la notizia che attendevo da due anni, da quando io stessa segnalai il furto della biga ai carabinieri della tutela del patrimonio culturale di Palermo – dice la dott. Privitera -. Quello stesso anno, la biga bronzea sarebbe stata oggetto di uno studio dedicato da parte del Cnr-Ismn, dove lavoravo come ricercatrice al fianco della dott. Maria Pia Casaletto proprio nella tematica della conservazione dei bronzi, la quale non ha esitato ad acconsentire una campagna diagnostica che avrebbe avuto il duplice intento: determinare lo stato di conservazione dell’opera e la composizione chimica della lega e delle sue patine e, successivamente, progettare un sistema di protezione dalla corrosione, in caso di intervento di restauro. Prima ancora di contattare i proprietari della biga, il suo furto ha poi impedito lo svolgimento delle attività di ricerca. La determinazione della composizione chimica della lega e un esame autoptico dell’opera avrebbero anche chiarito il periodo di esecuzione, sulla quale sussistevano enormi incongruenze, anche da fonti della Soprintendenza. Preciso che non esiste un metodo di datazione assoluta del bronzo. Essa si basa principalmente sull’esame stilistico e sulla tecnica esecutiva. Aneddoti popolari e chiacchiericci, infatti, avevano messo in luce l’inverosimile ipotesi della provenienza archeologica dell’oggetto, già da qualche anno, e un simile esame avrebbe definitivamente chiarito questo aspetto. Anche adesso è passata la notizia distorta sull’attribuzione della biga bronzea, dicendo che sarebbe stata scoperta alla fine dell’800 a Morgantina e che risalirebbe addirittura al V secolo a.C. ma è stato un cortocircuito di disinformazione, facendo passare in secondo piano l’eccezionale notizia dell’esito delle indagini».

Privitera spiega: «Ho dedicato gli ultimi due anni alla ricerca di una “verità oggettiva” su questo capolavoro, scoprendo una pista che mi ha portato ben lontana da quanto ascoltato e letto finora, seguendo tracce documentali e ricostruendo alcuni passaggi grazie ad autorevoli testimonianze orali, laddove le fonti tacevano. Ho consegnato l’esito della mia inchiesta storica alla Biblioteca Internazionale Scripta Hic Sunt del Centro per gli Studi Criminologici, Giuridici e Sociologici di Viterbo, dove a marzo 2019 ho conseguito il Master in Archeologia Giudiziaria e Crimini Contro il Patrimonio Culturale. Copia è stata consegnata anche alla biblioteca della Soprintendenza di Catania, che mi ha concesso la consultazione di materiale conservato nei suoi archivi, fondamentale per la mia inchiesta».

Perché la Biga bronzea non è un’opera archeologica?

«La biga bronzea ha le fattezze della biga marmorea esposta nei Musei Vaticani. Anche l’occhio più inesperto si accorge che siamo davanti ad un archetipo e ad una copia e per entrambe è possibile fare la stessa analisi stilistica. La cassa della biga (un carro cerimoniale) è in stile imperiale. Invece i cavalli, di cui uno realizzato riciclando un torso mutilo antico, le bardature e il giogo sono in stile settecentesco. Com’è noto, la biga marmorea è un pastiche realizzato dal restauratore – scultore Francesco Antonio Franzoni nel 1788. Un unicum. In una linea temporale, questo pone la biga marmorea prima della biga in bronzo».

A quale epoca può riferirsi la biga bronzea?

«Nella storia dell’arte tra ’800 e ’900 è attestata la produzione di repliche in bronzo della biga marmorea ad opera della fonderia artistica napoletana Chiurazzi. Una di queste repliche, fa parte di un’importante collezione conservata presso il John and Mable Ringling Museum in Florida, lascito del ricco magnate a cui è stato intitolato il museo e che la acquistò in Italia intorno al 1925. Esiste un catalogo della fonderia, pubblicato nel 1929, che dimostra la presenza di quest’oggetto tra le opere riproducibili. Non si esclude che tale produzione di repliche risalga a qualche anno prima. L’anno di fondazione della fabbrica Chiurazzi a Napoli è il 1870. Da qui otteniamo i due estremi temporali in cui si colloca la manifattura della biga bronzea».

Come c’è finita quell’opera sul tetto della Cappella Sollima?

«Antonio Capitano, il primo proprietario della cappella dalla quale è stata sottratta la biga a Catania, era un mercante d’arte attivo anche oltreoceano a cavallo dei secoli ’800 e ’900. Nel 1910 terminò la costruzione di quell’eclettico edificio funerario (oggi cappella Sollima ai quali fu venduta nei primi anni ’50), per seppellirvi la giovane moglie prematuramente deceduta, suicidatasi, la catanese Angelina Grasso. Quasi certamente Capitano era in contatto, per motivi di affari, con la fonderia Chiurazzi e in occasione della costruzione della cappella acquistò la biga bronzea, assieme alle altre sculture bronzee d’antiquariato che fino agli anni ’80 adornavano il tetto della cappella, poi trafugate. Gli archivi della fonderia non esistono più, ed è oggi impossibile ottenere una ricevuta di acquisto o una commissione. L’attribuzione della biga bronzea alla fonderia Chiurazzi è stata comunque sostenuta da una discendente della famiglia di fonditori, la dott. Luisa Fucito, storico dell’arte esperta in bronzi d’antiquariato».

Da dove salta fuori la “leggenda della Biga di Morgantina”?

«Il raffinato mercante d’arte Antonio Capitano frequentava abitualmente il territorio di Aidone, dove vi erano evidenze dell’antica città siculo-ellenizzata, poi identificata come Morgantina, da cui dissotterrava ciò che poteva per poi vendere e quindi disperdere reperti archeologici, anche all’estero. Stiamo parlando di un momento storico in cui le leggi sulla tutela penale del patrimonio archeologico erano ancora deboli e chiunque, impunito, era portato a rovistare tra le vestigia del passato per poterne trarre profitto dalla vendita. L’archeologo Paolo Orsi conosceva molto bene Capitano, da cui acquistava spesso reperti archeologici per il suo museo siracusano, allo scopo di arginare la loro dispersione all’estero. Nonostante l’archeologo appuntasse proprio tutto sulle sue esperienze scientifiche e “umane”, nei diari orsiani non c’è traccia di una scoperta così importante. Un eventuale simile riscontro nelle fonti dell’epoca avrebbe potuto giustificare tale leggenda, fermo restando che la biga recuperata dai Carabinieri non è un oggetto archeologico. In quel caso saremmo stati testimoni di ben due bighe scomparse, tra cui l’ignota biga bronzea dal cimitero di Catania. Il fascino dell’ignoto e la propensione popolare alla diffusione del “mito” ha poi fatto il resto».

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Pubblicato da:
Redazione
Tag: antiquariato antonella privitera archeoclub archeologia biga di morgantina biga morgantina cappella sollima