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IL REPORTAGE
Regalbuto, nel regno della mafia “nascosta” dove gli affari vanno a gonfie vele
Dai panifici alle comunità per disabili: l’ascesa dei nuovi boss
Regalbuto. Un paese al confine tra due province Enna e Catania. Un paesello di poco più di 6 mila anime anch’esso colpito dallo spopolamento degli ultimi anni. In passato un’economia florida dove erano insediate grandi aziende che operavano nei mercati esteri. Hanno creato occupazione e quelle sopravvissute alle leggi di mercato vogliono continuare a lavorare. Società con bilanci da diversi zero ed una Banca di credito che dal paesello è riuscita nel tempo ad insediarsi in altri centri dell’hinterland. Un piccolo comune in cui in questo periodo si spara. Non certo nell’ambito di un conflitto all’interno di cosa nostra per la leadership della provincia di Enna dopo la morte del boss di Barrafranca Raffaele Bevilacqua ma perché la caccia è iniziata. E in questa zona gli appassionati delle “doppiette” si ritrovano insieme per la cacciagione. E poi ci sono loro, gli Arcodia Pignarello, che con un cospicuo arsenale nascosto nel bar del centro storico del cugino avevano così tante armi per poter fare una guerra.
Una collina che guarda alla zona di Catania, dove nelle piazzette – tra una sala giochi e l’ingresso di una chiesa – i pensionati stanno lì a discutere e trascorrere il proprio tempo libero. Qui la temperatura negli ultimi giorni si è abbassata, l’autunno che spazza via le foglie secche è arrivato con un certo anticipo. Un paese tranquillo dove gli affari corrono veloci – come un “Go kart” – e la quiete giovedì mattina è stata “rotta” dall’irruzione degli agenti della squadra mobile di Enna e quelli del Commissariato di Leonforte in diverse abitazioni. Da quella di Tony Arcodia Pignarello, 46 anni, che secondo l’accusa della Dda di Caltanissetta sarebbe a capo della famiglia di Regalbuto. Un uomo che dieci anni fa ha dovuto fare il primo conto con la giustizia tanto da essere condannato per associazione mafiosa.
La dinastia
Una dinastia, quella degli Arcodia Pignarello (il padre Giovanni Arcodia Pignarello è stato ucciso più di trent’anni fa, ndr) che regge, tra gli altri, l’economia del paese. Un nome pesante di quelli che fanno tremare anziani e giovani, alcuni dei quali bussano alla loro porta per avere un lavoro in una delle tante attività insediate nel territorio sfruttando anche i finanziamenti pubblici. Un uomo, Tony Arcodia, che con i suoi 46 anni detta ancora le regole. Non quelle dello Stato – che qui riesce ad essere presente, anche se fa i conti con il silenzio delle vittime – ma di Cosa nostra, la mafia che con cappello e lupara che è pronta a sparare. E non per prendere la cacciagione, bensì per imprimere il suo potere criminale.
Piccole strade, dove tra un negozio e l’altro il nome Arcodia è ben impresso nelle insegne dei panifici. Qui il pane del Dittaino, che riscuote successo in tutta l’isola, non si può trovare negli scaffali dei supermercati e solo un panificio ha un’insegna differente. Sbirciando le visure camerali delle società presenti a Regalbuto ecco che molte di queste fanno – direttamente o indirettamente – riferimento agli Arcodia. E la famiglia ne va fiera: dalla società di gestione del verde al grande canile in cui vengono custoditi i randagi (con pagamento diretto dai Comuni) ad una comunità alloggio per «soggetti destinatari di misure cautelari». E non solo. La grande famiglia ha anche un agriturismo.
Il silenzio
Dopo il blitz antimafia in Comune, pur avendo sottoscritto due anni fa una convenzione con la Fai Antiracket, guidata da Vittorio Calabrese, per l’istituzione di un osservatorio della legalità, nessuna iniziativa è stata intrapresa, perché effettivamente l’osservatorio non è stato mai istituito. Nessuna dichiarazione da parte del primo cittadino dopo l’inchiesta che ha riguardato il suo paese e portato in carcere sei persone. «Ma lì c’è un Arcodia», dice subito una voce maliziosa. Effettivamente dell’osservatorio avrebbe dovuto farne parte anche Christian Arcodia, consigliere d’opposizione. Il consigliere non c’entra nulla con l’inchiesta, ma parlare di determinati argomenti ora che alcuni suoi parenti sono finiti in carcere per mafia forse avrebbe creato un po’ di imbarazzo.