Beni per 155.000 euro in conti correnti, conti depositi e titoli sono stati sequestrati dalla Polizia di Stato di Ragusa ad un avvocato di Palermo di 44 anni, D.M., e ad un sedicente avvocato suo collaboratore di 48, B.L., accusati di aver truffato per 250mila euro a 19 ragusani affetti da diverse patologie derivanti da trasfusioni del sangue. I due sono indagati per truffa aggravata continuata in concorso. Il 48enne, che è solamente laureato, deve anche rispondere di esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesto un titolo abilitativo.
L’operazione, denominata “Parcelle”, è stata effettuata dalla squadra mobile. Le indagini sono state coordinate dal pm Francesco Puleio, che ha chiesto ed ottenuto dal gip il sequestro. L’attività dei due indagati sarebbe cominciata nel 1998. Le vittime si sarebbero rivolte ai due perché “esperti” nel settore degli indennizzi e risarcimenti previsti dalla Legge 210/1992 riguardante gli indennizzi a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie o trasfusioni. I due indagati avrebbero organizzato riunioni in camere d’albergo e cene con le vittime ed avrebbero cominciato a percepire le prime parcelle prospettando ai loro assistiti ogni garanzia a protezione dei diritti riconosciuti dalla legge: un risarcimento del danno biologico stimato intorno ai 400.000 euro, un risarcimento da danno biologico parentale, un indennizzo di 1.200 euro a bimestre e gli interessi relativi all’indennizzo non percepito.
A rivolgersi alla squadra mobile di Ragusa sono stati alcuni membri dell’associazione “Pro Thalassemici” affetti da diverse patologie contratte a causa di trasfusioni di sangue. A favore dello studio legale di Palermo, che aveva dimostrato di intervenire anche su Ragusa, le vittime avevano firmato una procura speciale che dava quindi mandato esclusivo a rappresentarle contro il Ministero della Salute. Secondo quanto accertato gli indagati avrebbero incassato decine di migliaia di euro senza però che vi fosse una corrispondenza tra quanto percepito e l’attività professionale svolta. Trascorsi anni anni dal deposito delle somme di denaro le vittime avrebbero continuato a chiedere un minimo di risultati allo studio legale, che avrebbe continuato a promettere che a breve avrebbero ricevuto quanto di loro diritto.
Dopo mesi le vittime avrebbero chiesto la restituzione del denaro, che gli indagati non avrebbero restituito ai malati, ai quali sarebbe stato detto che se si fossero rivolte ad un altro studio legale avrebbero perso le somme già versate.