Quindici arresti, 9 aziende e 81 immobili sequestrati: i particolari (e i nomi) del blitz antimafia della Gdf di Catania

Di Alfredo Zermo / 18 Gennaio 2024
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Quindici arresti, ventisei indagati, sigilli ad aziende, immobili, terreni, conti correnti e auto sequestrati per un valore di 12 milioni di euro. Sono alcuni dei numeri del blitz antimafia Oleandro coordinato questa mattina del comando provinciale della Guardia di finanza di Catania.

Il provvedimento cautelare, su delega della Procura Distrettuale etnea, è stato eseguito nelle province di Catania, Caltanissetta, Arezzo, Napoli e Udine da finanzieri di Catania, con la collaborazione del Servizio centrale investigazioni sulla criminalità organizzata e il supporto di unità Cinofile e Antiterrorismo pronto impiego etnee, di militari delle compagnie di Acireale, Risposto, Paternò e del reparto operativo Aeronavale di Vibo Valentia.

Complessivamente sono 14 le persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere e una agli arresti domiciliari. Il provvedimento dispone anche il sequestro, finalizzato alla confisca, di nove attività commerciali a Catania e operanti nel settore dell’edilizia, di 81 tra fabbricati e terreni siti in provincia di Catania e Arezzo, di cinque autovetture e disponibilità finanziarie per un valore complessivo di oltre 12 milioni di euro.

I clan

L’indagine, coordinata dalla Dda di Catania e condotta da unità specializzate del Gigo del nucleo di Polizia economico finanziaria della Guardia di finanza di Catania, ha preso avvio da talune risultanze investigative acquisite nell’ambito di altra operazione delle Fiamme Gialle etnee, convenzionalmente denominata «Tuppetturu». In quel contesto investigativo era stata censita una conversazione tra presenti in cui alcuni soggetti, ritenuti contigui al clan Cappello, articolazione Cintorino, discutevano delle dinamiche criminali in corso di evoluzione tra i nuovi referenti del gruppo di Picanello, storica branca della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano in quel rione di Catania.

L’usura e la cassa comune

Una delle attività più redditizie del sodalizio sarebbe stata l’erogazione di prestiti a tassi usurari, inseriti in un sistema più ampio di reinvestimento dei proventi rinvenienti dal traffico di sostanze stupefacenti, dalle estorsioni e dal gioco d’azzardo. Gli indagati avrebbero inoltre utilizzato metodi mafiosi per minacciare le vittime e garantirsi il pagamento delle rate di capitale e interessi. Dalle evidenze investigative sarebbe emerso un meccanismo collaudato con finanziamenti di piccoli tagli, di norma da 500 a 2.500 euro, da rimborsare in rate settimanali o mensili con un tasso di interesse oscillante tra il 140% e il 350% su base annua.

Dalle indagini sarebbe inoltre emersa l’esistenza di una cassa comune del sodalizio in cui far confluire i proventi delle attività illecite e da cui attingere per supportare economicamente gli affiliati detenuti o ex detenuti da poco usciti dal carcere e le relative famiglie, sostenendone pure le spese di viaggio in occasione delle trasferte per i colloqui, erogare gli stipendi, pagare gli onorari degli avvocati difensori.

I vertici

A capo ci sarebbero i “reggenti” della cosca nel quartiere, Carmelo “Melo” Salemi, di 65 anni, e Giuseppe Russo, di 48, detto “il giornalista” o “l’elegante” che avrebbero utilizzato una stalla per gli incontri con i loro sodali.

Sembra invece che l’erogazione di prestiti a tassi usurari fosse gestita da Nunzio Comis, 40 anni, figlio del boss Giovanni, arrestato dal Nucleo Pef della Guardia di finanza di Catania in flagranza di reato nel 2020 mentre riscuoteva il pagamento di una rata di un prestito a usura da un imprenditore. Comis avrebbe utilizzato un telefono aziendale intestato fittiziamente a un’altra persona, facendosi chiamare “Melo” durante le conversazioni per evitare di essere facilmente identificato. Inoltre, sottolineano gli inquirenti, avrebbe utilizzato un noto bar di Picanello come «punto di incontro per la riscossione delle rate da parte degli indebitati». Gli importi sarebbero stati consegnati a Lorenzo Antonio Panebianco, 23 anni, indagato e all’epoca impiegato del bar.

Secondo l’accusa, il riciclaggio dei proventi illeciti sarebbe stato infine assicurato da Fabrizio Giovanni Papa, 58 anni, imprenditore attivo nel settore dell’edilizia, ritenuto particolarmente legato al gruppo di Picanello e a Carmelo Salemi. Secondo la Dda di Catania avrebbe messo a disposizione le proprie società per il riciclaggio di ingenti quantità di contanti provento delle attività criminali del clan, contribuendo a occultarne l’origine delittuosa, e per il successivo reimpiego in attività economiche o finanziarie, essenzialmente nell’edilizia, tramite le medesime imprese a lui riconducibili.

Gli arrestati

Le persone raggiunte da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’ambito dell’operazione denominata ‘Oleandrò, eseguita dalla Guardia di finanza, sono: Antonino Alecci, di 62 anni, Andrea Caruso, di 43, Nunzio Comis, di 41, Giuseppe Conti, di 37, Michele Agatino Cuffari, di 33, Alessandro De Luca, di 49, Giuseppe Gambadoro, di 41, Fabrizio Giovanni Papa, di 58, Giuseppe Russo, di 48, Carmelo Salemi, di 55, Biagio Santonocito, di 33, Corrado Santonocito, di 61, Alfio Sgroi, di 54, Salvatore Alberto Tropea, di 34.

Agli arresti domiciliari è stato posto Lorenzo Antonio Panebianco, di 24 anni.

Le società sequestrate

Le società sequestrate a Catania sono: Karma Immobiliare Srl, Fabri Immobiliare Srl, P. F. Costruzioni soc. coop., P. F. Costruzioni Srl, B. F. Costruzioni Srl, Nuova Edilizia Srl, V. R. S. Immobiliare Srl, Immobiliare Santa Lucia Srl, Al Garden Salemi Srls.

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Pubblicato da:
Alfredo Zermo