Il collocamento dei minori stranieri non accompagnati spetta ai Comuni di sbarco che, in collaborazione con la prefettura, possono cercare strutture e comunità in tutte le regioni d’Italia. Sono previsti due tipi di accoglienza: la prima accoglienza, subito dopo lo sbarco, in strutture che possono ospitare un massimo di 60 ragazzi per i 30 giorni fissati dalla legge estendibili, per necessità, ad un altro mese, dunque 60 giorni al massimo. Compito di queste strutture, dati i tempi limitati, è quello di occuparsi dell’aspetto sanitario e della nomina di un tutore.
Ora, poiché gli sbarchi sono continui e non si trovano strutture in cui collocare il numero crescente di minori non accompagnati, la prefettura autorizza il ricorso ai Cas (Centri di accoglienza straordinari) dove possono essere ospitati anche 150 minori. Si tratta, quando va bene, di strutture che hanno fatto richiesta di autorizzazione, ma il cui iter non è stato completato. Strutture che, dunque, dovrebbero avere i requisiti strutturali e funzionali richiesti. Anche in questo caso, trattandosi di prima accoglienza, i minori possono restarvi solo per 30 giorni estendibili ad altri 30.
Poi ci sono le strutture di seconda accoglienza dove i minori – dopo il mese o due trascorsi nei centri di prima accoglienza – devono andare per legge e restarvi fino al compimento del 18° anno. In questo caso i compiti sono diversi e ben più impegnativi. Per ogni minore va costruito un progetto individualizzato in base alle attitudini, ai desideri e alle capacità. Va costruito, dunque, un percorso educativo che lo porti all’ottenimento del permesso di soggiorno per minore età o come rifugiato e un percorso scolastico o di formazione professionale. Per questo i ragazzi ospitati nelle strutture di seconda accoglienza possono essere al massimo 15 seguiti da un personale di numero di poco inferiore a quello dei centri di prima accoglienza dove i minori sono fino a 60.
Per questi tre tipi di accoglienza, che prevedono carichi di lavoro e di impegno del tutto diversi, la legge prevede una stessa retta di 45 euro al giorno per minore date ai gestori delle strutture. Si capisce perché nessuno vuole aprire e gestire strutture di seconda accoglienza, molto più impegnative e nelle quali, con questa retta, non si guadagna nulla. A farlo, infatti, sono solo le cooperative i cui soci credono veramente nell’impegno sociale e nell’accoglienza. Ma sono poche, pochissime, così, in mancanza di queste strutture, i minori restano confinati in quelle di prima accoglienza che, invece, si moltiplicano come funghi dal momento che spendono poco e guadagnano molto, quando non delinquono, come gli arrestati di Mascali.
Questo significa che i minori non accompagnati rimangono parcheggiati per anni in posti che usano solo come hotel dove dormire, luoghi dove non imparano la lingua, non seguono percorsi scolastici, non imparano un lavoro. Un tipo di «accoglienza» che è la negazione di ogni forma di integrazione e che espone i giovani – che stanno tutto il giorno in strada a non fare nulla – ad essere preda della criminalità organizzata con gravi danni per loro e per la collettività e in cui gli unici a guadagnarci, spesso in modo scorretto, sono gli italiani. Un problema grave, gravissimo, che si può affrontare solo cambiando la legge e le regole e diversificando le rette per i due tipi di accoglienza.
Le strutture
Solo poche le strutture di 2ª accoglienza. Meno ospiti e obbligo di progetti individualizzati e di integrazione. Molto lavoro e stessa retta: non si guadagna