Quando la cocaina viaggiava sul bus della Sais, il retroscena del blitz Kynara

Di Concetto Mannisi / 19 Dicembre 2022

La cocaina viaggiava anche sui bus della Sais. E’ uno dei retroscena dell’operazione Kynara, che ha permesso alla polizia di arrestare trenta persone accusate a vario titolo di associazione per delinquere di stampo mafioso, finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, spaccio di stupefacenti e porto illegale di armi da sparo.

 

 

Nel corso delle indagini coordinate dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e dalla sostituta procuratrice Tiziana Barbara Laudani è emerso, infatti, che il gruppo considerato organico al clan Cappello-Bonaccorsi e guidato da Michele Vinciguerra “’u cardunaru” avrebbe consegnato a un autista della Sais, arrestato quel giorno stesso in flagranza dalla Guardia di finanza, due chili di cocaina che l’uomo aveva pagato con mazzette per 70 mila euro custodite in una borsa bianca con marchio “Kim”.

 

 

Della questione ne discutevano – e venivano intercettati – i coniugi Giacomo Ravasco e Aurora Finocchiaro, che sulla base di chissà quali notizie provenienti da Palermo si lasciavano andare a precise considerazioni: «Può essere che lo hanno “attaccato” veramente – discutono – ma io non ci credo tanto…». Nella circostanza i due fanno riferimento ai 70 mila euro incassati nell’ambito dell’affare in cui era coinvolto l’autista, poi la Finocchiaro legge alcuni messaggi di Alberto Bassetta (con mansioni analoghe a quelle del Ravasco: rivendere a soggetti terzi la droga acquisita dai narcos calabresi) che, alla luce di quanto accaduto sull’asse Catania-Palermo, consiglia a chi aveva effettuato la consegna al conducente del pullman della Sais – ovvero il Ravasco – di allentare un po’ con la sua attività illecita: «Stai calmo… Non farti problemi e non farti vedere…».

 

 

Inizialmente il Ravasco mostra noncuranza a fronte di tali raccomandazioni, approntando pure una ipotetica linea difensiva: «Me la sucano a me… che mi racconti a me?… Io chiudo una busta, ma là dentro c'era il pane… Non sono cose mie… Io lavoro, che cosa mi raccontano?».

Poi, però, decide di “capitolare” e per una settimana si astiene da ogni possibile consegna. 

 

 

Della questione Ravasco (che non viene raggiunto da provvedimento restrittivo nell’ambito del blitz poiché già sottoposto a misura cautelare a seguito di arresto in flagranza) ne parla più genericamente con lo zio, proprio Michele Vinciguerra, che gli offre ulteriori consigli sui comportamenti da adottare in ottica futura, atteso che il nipote mette nel conto la possibilità di essere arrestato: «Combattendo con queste cose – dice il giovane – mi danno quindici anni di galera». «E tu – risponde il boss – prendi cinquantamila euro e li metti di lato senza toccarli più. A duemila o tremila euro a botta si raccolgono e si alzano se tu non li tocchi. In caso di difficoltà possono servire».

 

 

Anche perché, a quanto si evince dalle carte giudiziarie, non è che Gaetano Ravasco rimane esattamente con le mani in mano. Si espone di continuo con la sua attività, con continui appuntamenti a Porte di Catania, all’Outlet di Agira (in quel periodo chiuso a causa delle restrizioni anti-Covid: «Vado lì alle quattro e mezzo e non c’è nessuno… Mi dovete fare passare i guai?…»), ma anche nel Siracusano e nel B&B di Catania utilizzato dal gruppo come base operativa.

E la coca la utilizza anche per “pagare in natura” un fabbro. Come si evince nel corso di un’altra intercettazione in cui il giovane confeziona una dose da quattro grammi in compagnia del suocero Vito Finocchiaro: «Questa qua tagliala intera, dobbiamo dargliela al fabbro che mi ha fatto dei lavori al mare: lui se la tira…».

E Ravasco viene intercettato mentre consegna della droga a Rosa Nieli, un’altra delle destinatarie del provvedimento restrittivo – ammessa ai domiciliari – nel corso dell’operazione. La donna – e non è l’unica, in verità – si lamenta della scarsa qualità dello stupefacente ricevuto dal gruppo: «Amore mio, così non mi potete trattare… “Munnizza” totale. Non è la prima volta che ho un problema a toglierla, perché la gente gli capita una volta buona e dieci no… Fa puzza di pomata di bambino e non fa un cazzo (con riferimento agli effetti, ndc)…».

Ravasco le propone un “cambio” di merce: «Qual è il problema?», chiede. «Il problema è che non faccio un viaggio per cambiarla. Io vengo una volta: o mi tratti bene o mi cerco un'altra strada».
Sempre nel corso delle indagini si appura che un soggetto, che non è stato possibile identificare, suggerisce di rapinare un cliente che è solito acquistare ingenti quantitativi di cocaina, pagandoli in contanti. «Ti posso dire una cosa? – lo sconosciuto si rivolge a Ravasco e a Vito Finocchiaro – ci dobbiamo fare una rapina. Viene a Ognina quello con la Toyota (a quanto pare tale Alfredo, altro soggetto di cui probabilmente si parla in altre circostanze, proprio per la sua capacità di acquisto, ndc) e se la mette in macchina. Noi arriviamo e poi ti presenti tu per la consegna del carico: “Non ho trovato a nessuno”, dici a tuo zio. E te ne vai».

L’affare è allettante perché l’acquirente, in occasione della precedente consegna, aveva comperato dieci chili di droga, pagandoli ben 340.000 euro (quindi 34.000 euro al chilo, anche se in considerazione di ripetuti e ingenti acquisti il costo si abbassa anche a 32.000): «Erano tanti l'altro giorno (i soldi, ndc) – dice Ravasco – Guarda che non sono riuscito a “impunirimilli”… quanto voglio bene a mia figlia… erano assai assai assai». Balena pure l’ipotesi di rapinare anche la cocaina: «E che prendiamo la cosa dello zio (Michele Vinciguerra, ndc)? Ma sei scemo?».
Già, l’etica prima di tutto…. 

Pubblicato da:
Fabio Russello
Tag: cocaina bus sais kynara