La Cassazione ha scritto ‘The End’ alla complessa e imponente inchiesta Vicerè, che nel 2016 smembrò pezzo per pezzo il clan Laudani. L’ultimo filone processuale proveniente dal rito ordinario è sbarcato ieri in piazza Cavour a Roma. Gli ermellini della Quinta sezione della Suprema Corte hanno confermato le condanne per i cinque imputati che avevano impugnato la sentenza d’appello.
La Cassazione non accogliendo i ricorsi delle difese ha reso irrevocabili le condanne inflitte due anni fa dalla Corte d’Appello di Catania per Giovanni Alfino (11 anni, 9 mesi e 9950 euro), Orazio Di Grazia (12 anni), Carmelo Orazio Isaia (5 anni), Gianluigi Antonio Partini (10 anni e 4 mesi e 6350 euro di multa), Rosario Campolo (7 anni). Va considerato che alcune pene sono state già in parte espiate con la misura cautelare. Il verdetto definitivo arriverà alla Procura Generale che dovrà verificare se ci sono posizioni ancora aperte. In quel caso saranno emessi gli ordini di carcerazione per scontare la condanna.
Lo scheletro dell’intera operazione antimafia, che azzerò le squadre della cosca da Catania fino all’Etna e al calatino, si fondò sulle dichiarazioni del pentito ed ex reggente dei “Mussi i ficurinia” (questo il nomignolo della famiglia mafiosa) Giuseppe Laudani.
Furono oltre 100 le misure cautelari emesse dal gip 7 anni fa: finirono in cella i boss di “sangue”, i gregari e i soldati (oltre ai “colletti bianchi” a disposizione della famiglia mafiosa). Le accuse contestate variarono dall’associazione mafiosa alle estorsioni, dal traffico di droga alla detenzione di armi.
L’inchiesta – coordinata dalle pm Antonella Barrera e Lina Trovato – svelò anche il ruolo centrale assunto da alcune donne, figure forti, autorevoli e con spiccate doti imprenditoriali. Molti imputati (oltre 50) scelsero il rito abbreviato, tra cui due avvocati poi condannati definitivamente dalla Cassazione per concorso esterno. Il troncone dell’ordinario lo hanno affrontato pochi imputati. Che oggi hanno ricevuto l’ultima stangata dalla Cassazione.
A seguito delle condanne del Tribunale, ci furono diversi ricorsi. In secondo grado fu riaperta la fase istruttoria. Il collaboratore fu risentito dalla pg Iole Boscarino durante il dibattimento in appello. Laudani – figlio di Gaetano (ammazzato) – raccontò diversi dettagli su alcuni degli imputati. Su Giovanni Alfino spiegò di conoscerlo fin da quando era un bambino. Nel 2004 lo avrebbe messo a capo del gruppo del Canalicchio “quale unico responsabile”. Alfino avrebbe avuto anche il ruolo di recuperare le estorsioni. Orazio Di Grazia, invece, è ritenuto il numero 1 di Picanello. Un gruppo creato – argomentò Laudani – su proposta “del cugino Sebastiano Laudani”.