CATANIA
Processo Mazzetta Sicula, parla il re delle discariche: «Quei soldi sotterrati? Contanti in caso di guerra»
Antonello Leonardi sentito per 5 ore dal pm. L’imprenditore sulla gestione degli impianti di smaltimento: «Condotte corrette»
Si alza il sipario sull’aula 2 assise del Palazzo di Giustizia di Catania. Atto unico. Cinque ore. Lunghe, intense e a tratti tese. Antonello Leonardi, finito in pieno lockdown nel ciclone dell’inchiesta Mazzetta Sicula per una gestione poco chiara dei rifiuti nella discarica più grande del Sud Italia, ha deciso di sedersi sul banco dei testimoni e rispondere alle domande dei pm Marco Bisogni. Il processo, che si celebra davanti alla III sezione penale del Tribunale di Catania presieduto da Rosa Alba Recupido, è arrivato al momento clou con gli ultimi testi dell’accusa. Tra cui – appunto – il Re Mida della discariche, patron della Sicula Trasporti, che raccoglie rifiuti da oltre 200 comuni siciliani.
È stato un esame fiume. Complicato. E non sono mancati i momenti di nervosismo. Il no all’acquisizione dell’interrogatorio rilasciato ai magistrati in carcere dall’imputato principale, ha allargato lo spettro delle domande del sostituto procuratore. Anziché porre soltanto quesiti a chiarimento de verbali depositati, il magistrato ha dovuto invece ripercorrere punto per punto l’imponente quadro probatorio. Leonardi è a processo per reati ambientali e corruzione. Per la Procura avrebbe pagato mensilmente alcuni funzionari dell’Arpa e del Libero Consorzio di Siracusa per essere “avvertito” dei controlli negli impianti di contrada Grotte Bianche e Codavolpe. E magari avere una voce a sostegno nelle sedi “istituzionali” dove si decideva di autorizzazioni e ampliamenti legati alla gestione della munnizza in Sicilia.
Leonardi ha spiegato con insistenza come si lavora all’interno delle discariche. E, difendendosi dalla mole delle contestazioni, ha descritto condotte che lui ritiene «corrette» sui sistemi di conferimento. Anche di quelli della raccolta differenziata che andavano a finire nell’impianto di compostaggio. «La chiave del problema non era la quantità dei rifiuti ma la qualità – ha detto – infatti molti dei rifiuti che arrivavano dai comuni non potevano essere trattati perché non avrebbero potuto dare un compost di qualità». Ed è in questa fase dell’esame che si è accumulata un po’ di tensione. Perché il pm, forte dell’assist fornito dall’imputato, ha chiesto se fosse capitato che quel «rifiuto non trattato» proveniente da una raccolta differenziata non «di qualità» fosse finito direttamente in discarica. Leonardi, senza battere ciglio, ha dato la sua versione: «Questo materiale che non poteva essere trattato lo mettevamo da parte a fine linea e dopo finiva in discarica». Bisogni però ha insistito, chiedendo una risposta circoscritta. Insomma «sì» o «no».
Il sostituto catanese ha formulato una precisa contestazione sul verbale riassuntivo, dove parrebbe che Leonardi abbia ammesso il conferimento dello «scarto» non trattato. Il difensore dell’imprenditore, l’avvocato Michele Ragonese è intervenuto chiedendo che le contestazioni siano fatte citando l’integrale e non il verbale riassuntivo. Una stoccata sul metodo che ha fatto alzare la tensione in aula.
I riflettori poi sono stati puntati sulla regola di coprire l’immondizia («cummigghiare», come emerso dalle intercettazioni). Una direttiva che Leonardi avrebbe dato più volte ai suoi collaboratori, alcuni dei quali nella lista degli imputati. Per il titolare di Sicula Trasporti, oggi sotto amministrazione giudiziaria, l’ordine di scuderia di «coprire» non sarebbe servito per nascondere qualcosa, ma come regola funzionale alla gestione. Ma i rifiuti quando venivano coperti? Solitamente a fine lavoro. Ma allora perché quando c’è stato il blitz della Finanza, di mattina presto, le cimici hanno registrato la preoccupazione di Leonardi a coprire? L’imprenditore catanese ha dato la sua spiegazione al pm: «Perché il giorno prima non eravamo riusciti a coprire tutto».
La mattina dell’incursione della Finanza sono fermati due camion che trasportavano rifiuto «non conforme» secondo i consulenti della procura. E in quelle ore, mentre gli investigatori stavano svolgendo gli accertamenti, le microspie hanno registrato decine e decine di conversazioni di Leonardi che viaggiava in auto all’interno della discarica. Ed in quelle fasi concitate che è saltata fuori l’esigenza (urgente) di spostare buste, borse e «cose nere» per evitare che venissero trovate dai finanzieri. E se nella borsa incriminata ci sarebbero state – a dire dell’imputato – documenti personali che non voleva fossero trovati dalle forze dell’ordine, nelle buste invece ci sarebbero state parte dei soldi (quasi un milione di euro) che poi sono stati trovati dai militari del Gico all’interno di grossi bidoni seppelliti sotto terra. «Erano i soldi degli affitti», ha spiegato l’imputato.
Una risposta che ha fatto scattare la domanda della presidente Recupido: «Ma cosa ha messo in affitto l’Empire State Building?». Ma perché seppellirli? Leonardi avrebbe reso onore a una tradizione tramandata dal padre che gli consigliava sempre di tenere da parte denaro contante per i periodi difficili. «In caso ci fosse una guerra…».
Il mirino di Bisogni si è spostato sui due funzionari coinvolti nell’inchiesta del Gico che sarebbero stati a libro paga dell’imprenditore catanese. Vincenzo Liuzzo, dipendente dell’Arpa di Siracusa (co-imputato) e Salvatore Pecora, impiegato dell’ex provincia aretusea (già condannato in appello). Leonardi ha respinto la tesi accusatoria di una elargizione per avere i favori dei funzionari. Si è difeso parlando di un prestito (dato in almeno 12 tranche) di 70 mila euro a Liuzzo. Soldi mai restituiti. Mentre il denaro dato a Pecora sarebbe stato una sorta di «aiuto umanitario». L’imputato ha ammesso di essere a conoscenza e consapevole dei ruoli istituzionali che ricoprivano le due persone a cui ha deciso, con generosità, di aprire il portafoglio. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA