via d'Amelio e Arnaldo La Barbera
«Arnaldo La Barbera era a libro paga dei Madonia». Lo ha detto il pm Maurizio Bonaccorso nella sua requisitoria ripresa questo pomeriggio nel corso del processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta dinanzi alla Corte d’Appello presieduta dal giudice Giovanbattista Tona. In aula anche il procuratore generale Fabio D’Anna e il sostituto procuratore generale Gaetano Bono. Bonaccorso questa mattina aveva già parlato di finanziamenti all’ex capo della Squadra Mobile, Arnaldo La Barbera da parte del Sisde.
«Il dottore Arnaldo La Barbera – ha continuato Bonaccorso – aveva un tenore di vita altissimo. Abbiamo accertato che Arnaldo La Barbera versava continuamente soldi sul suo conto corrente. In un anno circa 100 milioni di lire. Difficile credere che si potesse trattare di trasferte. Neanche avesse fatto il giro del mondo. Quello che è significativo sono le modalità in cui questo contante viene versato. Nel ’91 c’è un solo versamento di 8 milioni di lire, nel ’92 questa persona di colpo cambia abitudini rispetto alla sua attività bancaria e comincia a fare versamenti continui per importi davvero consistenti. Certamente non sono tutti proventi illeciti ma questo dato ci conferma quello che hanno detto i collaboratori Vito Galatolo e Francesco Onorato e cioè che La Barbera era a libro paga dei Madonia. Quindi abbiamo un personaggio ambiguo che da un lato viene costantemente finanziato dal Sisde. Dall’altra parte abbiamo i collaboratori che ci raccontano di un rapporto con la mafia».
Sui rapporti tra La Barbera e la mafia il pm ha richiamato un episodio raccontato nel corso del processo da parte del collaboratore di giustizia Vito Galatolo. «Vicolo Pipitone – dice il pm – era il luogo dove si sono fatti i più importanti summit di mafia, dove venivano fatti omicidi. Da lì partivano anche i commando per uccidere. Il collaboratore di giustizia Vito Galatolo, chiamato a testimoniare durante questo processo, ci ha detto che vide Arnaldo La Barbera entrare in vicolo Pipitone in due episodi per incontrare suo zio Pino Galatolo che in quel periodo era ai domiciliari, e quindi non poteva uscire».
Il dottore Arnaldo La Barbera era finanziato dal Sisde in nero. Sono soldi che lui prendeva non per pagare i confidenti ma per cose personali. Per pagarsi l’albergo, dove amava stare. Un tenore di vita assolutamente considerevole in relazione a quello che poteva essere la capacità reddituale di un funzionario di polizia. Situazione di una gravità inaudita. Il fatto che La Barbera venisse sovvenzionato vi sembra poco?». Lo ha affermato il pm Maurizio Bonaccorso, applicato alla procura generale nel corso della sua requisitoria del processo sul depistaggio delle indagini di via D’Amelio.
«A raccontarci un episodio fondamentale – continua Bonaccorso – è stato Vincenzo Pipino. Era in carcere, dopo essere stato detenuto a Venezia con Vincenzo Scarantino, e vede Scarantino in televisione e dice: ‘ah il collaboratore dei servizi segreti’».
«Arnaldo La Barbera era il ponte di collegamento tra i due mondi, Sisde e mafia, e ha depistato le indagini, agevolando la mafia, per impedire che si svelassero quei rapporti tra Cosa Nostra e apparati dello Stato fondamentali per la sopravvivenza dell’associazione. Il progetto criminale del dottore La Barbera non è un progetto criminale coltivato segretamente da lui ma qualcosa di condiviso, o quanto meno conosciuto, dai suoi più stretti collaboratori che con lui hanno condotto le indagini», ha aggiunto il pm. «Risulta assolutamente accertato che abbiamo due anime all’interno della squadra mobile di allora: coloro che vengono buttati fuori o si allontanano spontaneamente dal gruppo investigativo e coloro che hanno lavorato a stretto contatto con La Barbera. Questi ultimi negli anni si sono resi responsabili di gravi illeciti: torture su Salvatore Candura, interruzioni di intercettazioni, attività di studio con Vincenzo Scarantino e una serie infinita di false testimonianze». Gli imputati del processo sono i poliziotti, ex appartenenti del gruppo di indagine Falcone-Borsellino, Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo per i quali il procuratore generale Fabio D’Anna ha chiesto la pena di 9 anni e 6 mesi di reclusione per l’ispettore Fabrizio Mattei, 11 anni e 10 mesi per il commissario Mario Bo e 9 anni e 6 mesi per l’agente Michele Ribaudo. I tre appartenenti alla polizia di Stato facevano parte del gruppo d’indagine Falcone-Borsellino sulle stragi del ’92. Gli imputati sono accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito l’associazione mafiosa Cosa nostra.