Processo Borsellino: condanna ingiusta per Orofino, un milione e mezzo di risarcimento agli eredi

Di Redazione / 07 Settembre 2022

 Arrestato nel 1993, poi condannato in via definitiva e quindi assolto nel processo di revisione nel 2017. Ora lo Stato deve pagare agli eredi di Giuseppe Orofino, portato in carcere, a 49 anni, un milione e 404.925,25 euro di risarcimento per ingiusta detenzione con l’accusa di strage. La decisione del maxi risarcimento – scrive Repubblica Palermo – è della corte d’Appello di Catania. Orofino dopo la lettura della sentenza scoppiò a piangere, urlando di disperazione, sbattendo la testa nel vetro della «gabbia» di imputato, proclamandosi innocente. Ad accusare il carrozziere e altre 6 persone era stato il falso pentito Vincenzo Scarantino che si era autoaccusato di avere partecipato alla strage insieme a Salvatore Candura, anche lui calunniatore.

Secondo l’accusa iniziale, supportata dalle indagini del gruppo di investigatori Falcone-Borsellino capitanato da Arnaldo La Barbera, Orofino avrebbe fornito una targa pulita per la 126 rubata – che avrebbe anche tenuto nella sua officina – utilizzata come autobomba in via Mariano D’Amelio a Palermo il 19 luglio 1992 per uccidere il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e gli agenti della Polizia di Stato Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Nel luglio scorso il tribunale di Caltanissetta ha dichiarato prescritte le accuse contestate a Mario Bo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti accusati di avere depistato le indagini sulla strage e hanno assolto il terzo imputato, il poliziotto Michele Ribaudo. Erano imputati di calunnia aggravata dall’avere favorito la mafia. Secondo l’accusa erano stati loro a imbeccare i malavitosi di borgata rendendoli complici degli stragisti e accusatori di persone – alcune già condannate per mafia – poi dichiarate innocenti. 

"E' assurdo che lo Stato non si rivalga nei confronti dei magistrati che hanno, seppure involontariamente, causato questo grande danno al mio assistito. E’ stato accusato ingiustamente da Scarantino di avere partecipato alla strage di Via D’Amelio, quando il collaboratore Cancemi aveva detto più volte che non lo conosceva e che Scarantino non era un uomo d’onore". A dirlo è l’avvocato Giuseppe Scozzola, commentando la decisione della Corte d’Appello di Catania di liquidare agli eredi del carrozziere Giuseppe Orofino, accusato ingiustamente della strage di via D’Amelio, la somme di oltre 1,4 milioni di euro. "Si sapeva benissimo che la riunione a Villa Calascibetta (di cui aveva parlato il falso pentito Scarantino ndr) è stata smentita dai collaboratori Salvatore Cancemi, ma anche da Santino Di Matteo e da Gioacchino La Barbera – spiega l’avvocato Scozzola – Ricordo che il processo Borsellino ter cestinò completamente le dichiarazioni di Scarantino e si continuava a sostenere Scarantino per poi arrivare alla sentenza di appello del Borsellino bis che è una sentenza illeggibile. Non si capisce perché debba essere lo Stato a pagare e non i magistrati". 


Scozzola ricorda, quindi, le dichiarazioni del collaboratore Cancemi che durante un confronto con Scarantino gli disse: "Non parli come un mafioso" e aggiungendo "chi ti ha suggerito di dire queste cose?". "Il compito del magistrato sarebbe stato quello di dire 'vediamo quello che sta succedendo' e non nascondersi dietro il fatto che non ha dichiarato alcune cose in tempo, è una assurdità". "Lasciando perdere i servizi – dice – E non ci dimentichiamo che Palermo non è meno responsabile di Caltanissetta, quando ha davanti a sè Scarantino che si autoaccusa di omicidi e accusa altri di omicidi. Certamente nel momento in cui mi autoaccuso o mi fai il processo per omicidio o per autocalunnia, ma non puoi archiviare. Perché il reato c'è. Invece, Caselli ha contribuito volontariamente o no a sorreggere Scarantino. Se avesse fatto n processo per autocalunnia alcune cose non sarebbero successe". 


Il 26 gennaio 1996 la Corte d’assise di Caltanissetta, presieduta da Renato Di Natale, condannò all’ergastolo Salvatore Profeta, Giuseppe Orofino e Pietro Scotto. Diciotto anni vennero inflitti a Vincenzo Scarantino. Ottenne uno sconto di pena per la sua collaborazione che ricevette così il primo bollo di attendibilità processuale. Il 13 febbraio 1999 arrivò la sentenza del “Borsellino bis”. La Corte di assise presieduta da Pietro Falcone condannò all’ergastolo Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Carlo Greco, Giuseppe Graviano, Francesco Tagliavia, Salvatore Biondino e Gaetano Scotto. In appello Orofino si vide ridurre la pena a 9 anni per favoreggiamento. Assolto Scotto. Nel frattempo Scarantino ritrattò tutto.

Nel 2002, il collegio di appello, presieduto da Francesco Caruso, decise che a meritare l’ergastolo non sono solo sette imputati ma tredici. Si aggiungono i nomi di Cosimo Vernengo, Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Lorenzo Tinnirello, Gaetano Murana e Giuseppe Urso. Nelle motivazioni del Borsellino quater, i giudici scrivono, tra l’altro, che "tra le altre "anomalie" anche "la singolare cronologia del sopralluogo eseguito dalla Polizia Scientifica di Palermo (''su richiesta della locale Squadra Mobile'), nella carrozzeria di Giuseppe Orofino alle ore 11 del lunedì 20 luglio 1992" poiché "quest’ultimo aveva denunciato, appena un paio d’ore prima, il furto delle targhe (ed altro) da una Fiat 126 di una sua cliente, all’interno della sua autofficina".

Nel momento però in cui "la Polizia Scientifica eseguiva detti rilievi nell’officina di via Messina Marine – facevano notare le motivazioni della sentenza – non erano stati ancora rinvenuti, in via D’Amelio, né la targa oggetto della denuncia di Orofino" né "il blocco motore della Fiat 126 rubata a Pietrina Valenti". Inoltre "era soltanto nel successivo pomeriggio del 20 luglio 1992" che "detto blocco motore veniva attribuito ad una Fiat 126. Dette circostanze – affermavano i giudici – non sono affatto di poco momento, ove si rifletta sulla circostanza che, invece, già nel pomeriggio del 19 luglio 1992, fonti della Polizia di Stato ipotizzavano l’utilizzo, come autobomba, proprio di una Fiat di piccole dimensioni e, in particolare, 'una 600, una Panda, una 126'. Detta ipotesi investigativa, rivelatasi fondata e coerente con i successivi rinvenimenti sullo scenario della strage, dei reperti dell’autobomba, non è spiegabile soltanto con l’efficienza e la solerzia profusa dagli inquirenti nel cercare di far immediatamente luce, con il massimo sforzo investigativo praticabile, su di un fatto gravissimo, che cagionava anche la scomparsa prematura dei cinque appartenenti alla Polizia di Stato, bensì necessariamente ipotizzando un apporto di tipo confidenziale da parte di taluno che (evidentemente) era ben informato sulle concrete modalità esecutive dell’attentato. Diversamente con – è la conclusione – non si spiegherebbe, sul piano logico, il motivo per cui la Squadra Mobile di Palermo, diretta da Arnaldo La Barbera (già collaboratore del Sisde, con il nome in codice “Rutilius”, sin dal 1986), sollecitasse un intervento della Polizia Scientifica, per un immediato sopralluogo nell’officina di un carrozziere qualunque di Palermo, che aveva soltanto denunciato (appena un paio d’ore prima) il furto di alcune targhe da un’automobile di una sua cliente". 


Nel 2017, alla vigilia del 25esimo anniversario della strage di Via D’Amelio, arrivò la sentenza del processo di revisione. Dopo le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza e le ammissioni del falso collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino che avevano già portato alla scarcerazione di sette imputati che stavano scontando l'ergastolo, la corte d’assise d’appello di Caltanissetta, emettendo la sentenza nel processo di revisione, aveva assolto quei sette imputati dall’accusa di strage. Altre tre persone furono assolte da reati minori e assolto lo stesso Scarantino. 


A chiedere il processo di revisione era stata la procura generale di Caltanissetta che, ritenendo affidabili le nuove dichiarazioni di Gaspare Spatuzza che ha accusato dell’esecuzione della strage i killer della cosca di Brancaccio guidata dai fratelli Graviano, aveva scagionato e immediatamente scarcerato altri nove imputati che erano stati condannati sulla base delle false accuse di Scarantino. 

Il giudizio di revisione riguardava Gaetano Murana, Giuseppe Orofino, Cosimo Vernengo, Natale Gambino, Salvatore Profeta, Giuseppe La Mattina, Gaetano Scotto, Vincenzo Scarantino e Salvatore Candura. Quest’ultimo era stato condannato solo per il furto della macchina che venne imbottita di tritolo e non per il reato di strage, mentre Orofino era stato ritenuto responsabile di appropriazione indebita, favoreggiamento e simulazione di reato. Tomassello aveva avuto una condanna per associazione mafiosa e non per strage. 

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Pubblicato da:
Ombretta Grasso
Tag: borsellino la barbera orofino scarantino via d'amelio