CATANIA – Volere volare. O restare a terra. In mezzo, fra le nuvole e il fango, c’è una terza via: rinviare. Per poi spiegare e capire, spiegarsi e capirsi. E magari trattare.
Oggi, per Fontanarossa, non dovrebbe essere il giorno X, quello in cui premere il tasto “enter” sulla privatizzazione di Sac. Sul piatto, per l’appetito di buongustai da tutto il mondo, una quota compresa fra il 51 e il 70% della società che gestisce l’aeroporto di Catania (il quinto d’Italia con quasi 10 milioni di passeggeri l’anno) con un’ipotesi di valore che oscilla fra 800 milioni e un miliardo.
Non è detto che oggi, nell’assemblea dei soci cominciata poco dopo le 12, si scelga un percorso unitario. Anzi: è certo che non sarà così. Gli scenari sono due: un ulteriore slittamento (ipotesi più probabile) o la spaccatura degli azionisti, soltanto parte dei quali andrebbero avanti. In ogni caso il livello di scontro, negli ultimi giorni è salito. Le posizioni in campo sono due. Da una parte la Camera di Commercio del Sud-Est, guidata da Pietro Agen, azionista di maggioranza assoluta col 61,22%, in asse con Salvo Pogliese (2,04% col Comune e 12,24% con la Città Metropolitana di Catania); dall’altro la Regione, che controlla direttamente il 12,24% di Irsap e una pari quota col commissario del Libero consorzio di Siracusa.
Per intenderci: non è che Fontarossa doveva essere venduto stamattina. L’assemblea di oggi è la prosecuzione di quella sospesa venerdì scorso. Sul tavolo il via libera alla procedura con evidenza pubblica per selezionerà l’advisor che aiuterà Sac nel bando internazionale per la privatizzazione. Lo stop è dovuto all’assenza di delega formale al rappresentante di Irsap, Giovanni Perino, che aveva già espresso parere favorevole. «Nessun problema, avrete le carte presto», la rassicurazione del governatore Nello Musumeci al “socio forte”Agen in una telefonata (ascoltata da testimoni in viva voce) durante una pausa.
Ma la giunta regionale – sempre venerdì scorso, ma in serata – tira il freno a mano. Non solo non autorizza il commissario dell’Irsap, ma gli dà mandato di «acquisire il piano operativo di privatizzazione, al quale rimane subordinata ogni scelta successiva». È chiaro che la Regione vuole prendere tempo, anche perché il «piano operativo» richiesto è stato già visionato e approvato da tutti i soci, Irsap compreso.
Ma Marco Falcone (già durissimo nel dire che Fontanarossa «non è un giocattolo per pochi») ora mostra i muscoli. E ad Agen che lo invitava a «parlare col suo presidente», magari per risolvere «un problema interno al governo», l’assessore ai Trasporti ora risponde: «Il presidente e tutta la giunta hanno espresso una posizione chiara: sulla privatizzazione di Sac nessun atto di fede e nessun credito in bianco. Visto che la Regione sta investendo 350 milioni in infrastrutture per Fontanarossa, vorremmo capire il piano che hanno in mente e le ricadute dell’arrivo dei privati».
In mezzo c’è Pogliese. Più che convinto che la privatizzazione sia «la soluzione migliore per l’impatto sul territorio e per gli investimenti necessari al salto di qualità, che i soci non posso garantire». Da sindaco metropolitano, poi, confessa che la cessione delle quote dell’ex Provincia (30 milioni la posta stimata dai revisori, ma si arriverebbe a 50) sia «l’unico modo per dare ossigeno a un ente senza bilancio da tre anni, che oggi ad esempio è impotente sulla crisi del Bellini».
Ma qualcuno, a Palermo, è convinto che Pogliese non possa disporre del 12,24%, in quanto la scelta spetterebbe non al sindaco ma al consiglio metropolitano. Che, nel caos delle ex Province, non esiste. Ed è rappresentato da un commissario, Paola Gargano, nominata da Musumeci. E così il fronte del no (o meglio: del “parliamone”) potrebbe non essere composto solo da Irsap ed ex Provincia di Siracusa.
Cosa c’è dietro? I più maliziosi sospettano che la guerra dei cieli, in fondo, sia anche una questione molto terrena. Legata allo scontro catanese fra Forza Italia (Falcone in trincea) e il sindaco. E, semmai fosse così, le dimissioni già formalizzate dalla consigliera Sac di area Pogliese, Daniela La Porta, potrebbero essere la prova di un potenziale armistizio, se la casella andasse ai forzisti, o di un’altra rottura se in Cda entrasse un’avvocatessa vicina a Dario Daidone, ex azzurro transitato in Fdi come Pogliese.
Dal particolare all’universale. I dietrologi, alla ricerca di una chiave di lettura del dietrofront della Regione sulla privatizzazione, non pongono limiti alla fantasia. Dai colpi di coda del potere legal-confindustriale alle ambizioni di rampanti manager di consolidata esperienza, apprezzati da un governo regionale che sulla nomina degli attuali vertici di Sac (il presidente Sandro Gambuzza e l’ad Nico Torrisi) non ha toccato palla.
E poi ci sono i “No Priv”. Un variegato esercito di piccoli grandi nemici della vendita. Da Vussia e Movimento Mec che annunciano esposti («Le quote degli enti pubblici non possono essere alienate, perché dichiarate strategiche per legge», sbotta Claudio Melchiorre, che si autodefinisce «voce quasi solitaria, 18 mesi fa, contro la svendita degli aeroporti siciliani») alla Cifa, che con Gaetano Benincasa parla di «un percorso poco chiaro che accende un campanello d’allarme che non può rimanere inascoltato», fino al ruggito indipendentista di Mario Di Mauro (TerraeLiberAzione): «Calàti i manu da Fontanarossa», dice, denunciando, nella «malaprivatizzazione» di Sac «la miseria della politica nella politica della miseria».
E tutto il mondo fuori. In attesa interessata, per il pacchetto di maggioranza di Sac, ci sono i colossi del settore. Gli ultimi, in ordine più ravvicinato di tempo, a dare segnali di curiosità sono i tedeschi di Fraport (che gestisce Francoforte sul Meno con interessi in scali di tutto il mondo), i francesi di Ardian (società di private equity che ha in pancia beni per 96 miliardi di dollari) e gli spagnoli di Ferrovial (multinazionale delle infrastrutture, la cui divisione aeroportuale ha realizzato Heathrow, Glasgow, Aberdeen e Southampton). Negli scorsi mesi anche i segnali di fumo di Airport de Paris e dei francesi di Vinci, un network di 44 scali in tutto il mondo. Già noti anche i sondaggi dei Benetton, con il gruppo Atlantia che gestisce Fiumicino e Ciampino, ma anche Nizza, Cannes-Mandelieu e Saint Tropez; da tempo interessato anche F2i, fondo che ha le concessioni di Malpensa e Linate (con Sea) e il 65% di Napoli, mentre Enrico Marchi, presidente del gruppo Save (scalo di Venezia) ammette di «guardare con attenzione al dossier Catania». Che vale 700 milioni.
Le pressioni sono forti. E i soci di maggioranza di Sac non vedono l’ora di vendere, per garantire liquidità a un piano di investimenti infrastrutturali da 300 milioni, ma anche per fare cassa e salvare bilanci (le ex Province) e fondo pensione dei dipendenti, nel caso della CamCom. Il cui presidente Agen è oggetto di un’interrogazione della deputata grillina Simona Suriano: «Mentre si privatizza lo scalo etneo, Agen rimane massone: è compatibile e ammissibile? Chiediamo spiegazioni ai ministeri degli Interni e dello Sviluppo economico». L’assessorato regionale alle Attività produttive avrebbe già sciolto positivamente il nodo del presidente (iscritto “in sonno” alla loggia del Grande Oriente d’Italia), ma Agen sta comunque per uscire di scena. «Avvio la privatizzazione e poi mi dimetto», ha sempre detto. E ora c’è un appuntamento ad hoc, previsto l’11 novembre e poi rinviato a fine mese, per mantenere la promessa: tornare presidente di Confcommercio Catania e lasciare il vertice camerale. Con un successore già individuato (Riccardo Galimberti, attuale leader etneo di Confcommercio, che avrebbe una maggioranza garantita da Torrisi e da Fabio Scaccia, consigliere Sac), ma «non prima di chiudere la partita Sac».
Cosa succederà oggi? Pogliese, con il suo consueto aplomb, vuole scongiurare scontri istituzionali. E avrebbe sondato, ieri pomeriggio, le intenzioni di Palazzo d’Orléans. Ricevendo (tiepide) rassicurazioni sul futuro scenario di privatizzazione, ma con immediata necessità di «chiarezza». Se la linea della Regione, dunque, sarà la richiesta di un rinvio e non uno stop alla cessione, allora si potrà arrivare a una salutare fumata grigia. Del resto una posizione conciliante arriva dall’ad Torrisi: «Come Cda possiamo solo aspettare gli input dell’assemblea, ma va da sé che, dopo aver già fornito tutti gli atti necessari ai soci, ove non ci fosse ancora chiarezza sul percorso di privatizzazione, siamo pronti a ulteriori confronti». In fondo, come diceva Sun Tzu in L’arte della guerra, «nel mezzo del caos, c’è anche l’opportunità».
Twitter: @MarioBarresi