CATANIA – Servono 20 milioni di euro. Per rispondere, in poche settimane, a quella che oggi non è un’emergenza. Ma potrebbe diventarlo. Il finanziamento, che la Regione ha chiesto alla Protezione civile nazionale, serve a predisporre – entro marzo, secondo la stima dell’assessorato alla Salute – altri 110 posti-letto di Rianimazione negli ospedali siciliani per il coronavirus, arrivando così a una disponibilità complessiva di 456 (pari al numero programmato, ma non ancora reale) della Rete ospedaliera regionale. Ma il numero finale potrebbe salire di un’altra decina, secondo il report sul tavolo di Mario La Rocca, dirigente del dipartimento Pianificazione strategica, che mercoledì sera a Palermo ha incontrato i vertici delle aziende sanitarie e ospedaliere, ricevendo rassicurazioni sulla potenziale rapidità di attivazione dei posti finora “virtuali” ma anche sulla disponibilità aggiuntiva.
I 110 posti certi, che poi corrispondo a quelli non attivati rispetto alla mappa del decreto assessoriale del gennaio 2019, sono così distribuiti negli ospedali di competenza delle Asp: 8 ad Agrigento, 10 a Caltanissetta, 11 a Catania, 6 a Enna, 8 a Messina, 2 a Palermo, 14 a Ragusa, 4 a Siracusa, 13 a Trapani. Per il resto, gli incrementi più significativi saranno nelle strutture che fanno capo ai Policlinici universitari: 16 a Catania, 9 a Messina e 8 a Palermo. Gli altri aumenti: 7 a Palermo (6 al Civico e 1 al Villa Sofia-Cervello), 2 a Catania (al Garibaldi) e 4 all’Ismett.
In questo momento, sui 24 casi di contagio accertati nell’Isola, nessuno è ricoverato in Terapia intensiva. «Ma entro marzo – auspica l’assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza – potremmo arrivare a una disponibilità complessiva di quasi 470 posti in tutta la Sicilia, dei quali almeno 140 esclusivamente predisposti per affrontare l’emergenza del Covid-19». Una capienza che, a Palermo, ha ricevuto il conforto dei virologi consultati dall’assessorato: se si considera che nelle “zone rosse” la quota di positivi ricoverati in Terapia intensiva si aggira sul 5%, soltanto con i 140 posti dedicati (20 lo sono già ora, 110 l’aumento in base alla Rete ospedaliera, 10 aggiuntivi grazie alle disponibilità dei manager), si potrebbe affrontare un picco teorico di 2.800 contagiati.
Ma la prudenza, in casi come questo, non è mai troppa. E così l’assessorato regionale ha chiesto ai manager e ai direttori sanitari di Asp e ospedali siciliani di «procedere ad un’attenta programmazione delle attività riferite alle patologie di area chirurgica, che potrebbero potenzialmente richiedere un periodo di degenza post chirurgica in un reparto di terapia intensiva, sospendendo i ricoveri in elezione per le patologie non urgenti e il cui trattamento è differibile». Così facendo si può arrivare, sommando i nuovi posti a quelli liberati da attività programmabili, ad almeno 250 dedicati esclusivamente all’emergenza coronavirus.
Eppure anche questa prospettiva rassicurante non corrisponde ai desiderata del ministero della Salute, che in una circolare del 1° marzo ha chiesto l’aumento «fino al 50 per cento» dei posti letto in terapia intensiva «da mettere a disposizione dei pazienti anche affetti da criticità derivanti dal Covid-19». Se si parte dal numero assoluto dei 346 attivi in questo momento in Sicilia, secondo il governo nazionale si dovrebbe arrivare a ben oltre 500. E la situazione è molto più complicata sulle altre richieste; raddoppiare i posti letto in Pneuomolgia (oggi in Sicilia sono 242 attivi su 265 programmati) e soprattutto in Malattie infettive (sui 265 previsti sono 252 quelli operativi, di cui appena 58 di isolamento “a pressione negativa”). La dotazione è scarna, l’obiettivo è raddoppiarla, tenendo conto che appena 11 sono i posti in Sicilia orientale (soltanto 7 a Palermo).
Chi mette i soldi? Si aspetta un segnale da Roma, partendo dalle risorse stanziate da Palazzo Chigi per l’emergenza: un miliardo per la sanità, con procedure accelerate per assunzioni e acquisto di tecnologie. L’assessore siciliano aveva già scritto al ministro della Salute, Roberto Speranza, mettendo le mani avanti, pur col dovuto rispetto: «Mi corre l’obbligo di segnalare la necessità di una autorizzazione in ordine alla possibilità di far gravare per risorse e/o procedure l’aumento dei posti letto in terapia intensiva e a pressione negativa (nelle Malattie infettive, ndr)», scrive Razza. Consapevole che «la situazione lombarda segnala l’assoluta necessità di prevedere in via precauzionale una dotazione adeguata di posti letto attrezzati in aggiunta a quelli già presenti nella rete regionale». Ma “prima vedere cammello”, nonostante i rapporti fra l’assessore ex Fronte della Gioventù del Msi e il ministro più a sinistra del governo gialloverde siano molto più che cordiali. «In caso di autorizzazione sul punto, sarà mia cura – conclude Razza nella nota – trasmettere preventivamente la tabella dei fabbisogni affinché possa essere validata dal Ministero».
In attesa di segnali di Speranza (in tutti i sensi) sui posti aggiuntivi, la Regione prova comunque a garantire «altrettanta attenzione» anche all’attuale gestione dei reparti di Malattie infettive e di Pneumologia, chiedendo ufficialmente ai vertici sanitari locali che «in nessun caso tali posti dovranno essere destinati a pazienti con patologie non specifiche» in attesa di essere «incrementati per dare attuazione a quanto previsto dalla “Linee di indirizzo assistenziale” emanate dal Ministero il 29 febbraio 2020». Con quali fondi, però, non è dato sapere.
Un altro aspetto del piano antivirus della Regione riguarda i siti da destinare ad aree di quarantena. Con un po’ di mistero (e qualche polemica localizzata) sulla scelta. Ancora non è ufficiale, ma l’orientamento sarebbe sull’ospedale militare di Messina, sull’Imi di Palermo (anche se nelle ultime ore sembra più probabile l’uso di spazi, già omologati, di un ente regionale) e sui tanti plessi ospedalieri dismessi o in via di dismissione a Catania: dal Vittorio Emanuele al Santo Bambino, passando per il Santa Marta. Ma per la mappa definitiva, comunque, c’è tempo.
Twitter: @MarioBarresi