PALERMO – «Se entro qualche giorno non si troverà una soluzione ci recheremo a Roma con le famiglie dei pescatori per far sentire ancor di più la nostra voce al Governo Italiano». Sono sconsolati Leonardo Gancitano e Marco Marrone i due armatori di Mazara del Vallo dei pescherecci «Antartide» e Medinea» sequestrati lo scorso primo settembre da militari libici a circa 35 miglia a nord di Bengasi.
Oltre agli equipaggi dei due motopesca in cerca del «prezioso» gambero rosso in stato di fermo vi sono anche Giacomo Giacalone e Bernardo Salvo: comandante e primo ufficiale dei motopesca «Anna Madre» e “Natalino» (registrato a Pozzallo ma con equipaggio mazarese) riusciti a sfuggire alla cattura quella stessa serata.
Tutti e diciotto i marittimi si troverebbero «ospiti» in una villa mentre i due pescherecci ormeggiati nel porto della capitale della Cirenaica. Tra di loro anche alcuni tunisini imbarcati nei pescherecci.
Secondo alcuni organi di stampa i marinai siciliani sarebbero finiti al centro di una piccola crisi internazionale con risvolti giudiziari: «la marina legata all’esercito del generale Khalifa Haftar che controlla la zona di Bengasi ha avuto ordine dal comando generale, cioè dal generale Haftar, di non rilasciare i pescatori italiani fino a quando 4 calciatori libici imprigionati in Italia non saranno liberati. Ma su di loro pende una condanna a 30 anni di carcere per traffico di migranti. Per mesi le loro famiglie in Libia hanno chiesto la libertà, sostenendo che erano soltanto calciatori, atleti che volevano fuggire in Europa.
Giovedì scorso donne, uomini, bambine e bambini si sono presentati al porto di Bengasi con fotografie e cartelloni: «Liberate gli atleti libici: sono calciatori, non trafficanti». Le autorità di Bengasi avrebbero proposto all’Italia uno «scambio», i pescatori contro i «calciatori».
I 4 giovani libici furono arrestati in Sicilia nel 2015: vennero condannati dalla Corte d’assise di Catania e poi dalla Corte d’appello, con l’accusa di avere fatto parte del gruppo di scafisti responsabili della cosiddetta «Strage di Ferragosto» in cui morirono 49 migranti. Si chiamano Joma Tarek Laamami, di 24 anni, Abdelkarim Al Hamad di 23 anni, Mohannad Jarkess, di 25 anni, Abd Arahman Abd Al Monsiff di 23 anni.
Secondo i migranti con cui viaggiavano, la notte della «Strage» con «calci, bastonate e cinghiate» i quattro avrebbero bloccato molti nella stiva dell’imbarcazione. La loro versione era che si erano imbarcati anche loro per fuggire dalla Libia, e che i veri trafficanti avevano ridotto loro il prezzo del passaggio purché si occupassero di pilotare le barche.
«Sono giorni difficili e siamo preoccupati», ha detto ai microfoni di Tele8 Rosaria Giacalone, la moglie di uno dei 18 componenti degli equipaggi bloccati nel porto di Bengasi. «Non sento mio marito da 11 giorni, e sappiamo del loro buono stato di salute solo tramite la diplomazia. Ma noi vogliamo parlare con loro e sentirci dire dalle loro voci che stanno bene. Ci appelliamo al Generale Haftar- ha continuato la signora Giacalone – affinché possa con un atto di clemenza rilasciarli. Confidiamo nella sua benevolenza, i nostri uomini erano lì per pescare e non stavano facendo nulla di male».
All’appello si unisce anche la figlia del motorista del motopesca Medinea che in arabo, la famiglia è di origini tunisine, ha mandato i saluti al padre e ai membri suoi connazionali degli equipaggi confidando in un atto di bonarietà delle autorità libiche «per poter presto riabbracciare il padre. La madre del comandante del peschereccio Medinea, chiede infine «soltanto di poter riabbracciare il figlio anche lui da più di 12 giorni fermo al porto della cirenaica»