PADOVA – Giuseppe Montanti, 64 anni, uno dei mandanti dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, e condannato all’ergastolo, ha usufruito di un permesso premio, concesso dal Giudice di Sorveglianza di Padova. Ha potuto uscire di prigione per 9 ore, per incontrare e parlare con la sua famiglia. In cella da vent’anni, non aveva mai più incontrato i famigliari, che vivono in Messico e in Germania. Nel carcere di Padova ha partecipato alle attività di “Ristretti Orizzonti”,cooperativa che si occupa del recupero e reinserimento lavorativo dei carcerati.Tra pochi giorni ricorre il trentennale dell’uccisione di Livatino, il «giudice ragazzino» assassinato dai sicari della «stidda» agrigentina 21 settembre 1990.
Montanti in particolare ha incontrato ieri, in una località segreta, il figlio maggiorenne. Il detenuto ha usufruito del permesso premio nella settimana delle commemorazioni per l’omicidio del giudice Livatino, avvenuto il 21 settembre del 1990. Il permesso è il primo di cui ha usufruito dall’ergastolo (comminato nel 1999 dalla Corte d’assise di Caltanissetta) e dalla successiva latitanza. A formalizzare l’istanza sono stati gli avvocati di fiducia Annalisa Lentini e Angela Porcello. «Alla luce della nuova sentenza della Corte costituzionale – ha detto l’avvocato Annalisa Lentini -, auspichiamo, essendoci stata una relazione positiva per il comportamento di Montanti, che presentando ulteriori istanze possano arrivare altri permessi. Cosa impensabile fino a qualche tempo fa, essendo un reato ostativo».
Montanti, dopo la condanna definitiva, era stato arrestato nel 1999, mentre era latitante in Messico, paese dove si era creato una nuova famiglia. All’interno delle attività rieducative previste al Due Palazzi di Padova, l’uomo fa parte del «gruppo di discussione», un’assemblea che si confronta sui temi del giornale del carcere, fornendo spunti per letture e approfondimenti. La posizione di Montanti è stata riaperta dopo che la Consulta aveva definito incostituzionale non concedere permessi premio anche a detenuti con «reati ostativi», ossia mafiosi e assassini.