Paternò, viaggio solo andata d’una donna: muore a Zurigo con il “suicidio assistito”

Di Mary Sottile / 07 Aprile 2019

PATERNO’ – Afflitta da una grave forma di depressione, all’insaputa di familiari e amici sceglie una clinica in Svizzera dove morire con la pratica del “suicidio assistito”. È la tragica storia di una donna di Paternò (Catania), partita una decina di giorni fa da Fontanarossa per Zurigo.

I contorni della storia restano tutti da chiarire; i familiari sono stretti nel massimo riserbo e preferiscono non parlare. Come non capirli. Quanto è accaduto loro è drammaticamente orribile; uno tsunami che ti stravolge la vita e, forse, te la cambierà per sempre. Solo il tempo potrebbe lenire le ferite e, forse, il poter trovare giustizia in qualcosa che non riesci a spiegarti. Una storia che tornerà a riaprire il dibattito tra favorevoli e contrari all’eutanasia, un fatto destinato a riaccendere la questione sul diritto di poter scegliere di vivere e morire e quali limiti, se ve ne sono, devono essere imposti a questo diritto.
I motivi sono legati al fatto che questo caso alimenta più di un dubbio. Maria (nome di fantasia scelto per tutelare la privacy della donna), non era una malata terminale; non era in stato vegetativo; non era costretta a vivere su un letto d’ospedale, senza potersi muovere, così come accaduto per i casi di Eluana Englaro, Piergiorgio Welby e di Dj Fabo. Maria aveva un dolore dentro, aveva quella macchia oscura che matura nell’anima, chiamata “depressione”. Alcune vicissitudini personali e l’aver dovuto affrontare una malattia nella sua vita, l’hanno piegata a tal punto da portarla in uno stato di profonda crisi interiore. Da qui la sua scelta di voler morire. Tutto questo all’insaputa dei familiari. Ed ecco cosa accade.


Circa una decina di giorni fa, senza dire nulla a parenti o ad amici, Maria ha preso un aereo per volare in Svizzera, a Zurigo. All’aeroporto di Catania, poco prima di imbarcarsi, incontra un amico. Si salutano, come se nulla fosse. L’uomo, pensando che la donna stesse partendo per un viaggio di piacere, manda un messaggio alla sorella di Maria, le dice di esser stato felice di aver visto Maria in partenza. La donna riesce a leggere il messaggio solo qualche ora dopo; tenta di capire se sia possibile, lei e i suoi familiari non sapevano nulla. Scattano le ricerche. Si scopre che Maria è volata a Zurigo, per effettuare l’eutanasia assistita. Con il cuore in gola, la sorella, la madre e i fratelli partono per tentare di fermare Maria. Del caso viene informata anche la Farnesina, si tratta di una cittadina italiana, volata in uno Stato straniero. Possibile che non si possa fermare? Maria è lucida? È capace di intendere e volere? Se si chi lo ha stabilito?


Sono ore concitate. Maria viene raggiunta al telefono, ribadisce di aver preso la sua decisione, ma non svela dove si trova. Si contatta anche la Polizia svizzera, mentre il tempo inesorabile scorre. Maria è in una casetta blu, immersa nel verde della campagna, circondata da arredi colorati. Forse beve un ultimo tè, come usano fare in questa clinica. In quella finta pace e nello stato emotivo in cui si trovava, avrà probabilmente pensato che quella era la gioia di cui aveva bisogno, la tranquillità che tanto desiderava.


Nessuno è riuscito a fermare la mano dell’incaricato d’effettuare l’eutanasia. Maria ha firmato l’autorizzazione. Maria ha scelto. Da sola, lontana dall’affetto dei suoi cari che tentavano disperatamente di raggiungerla, Maria è morta. A dirlo ai familiari è lo stesso personale della clinica che li contatta, quando Maria già non c’era più. Possibile tutto questo? Possibile che si debba consumare tutto in poche ore? Possibile mentre c’è una famiglia che tenta di raggiungere il suo familiare per evitargli la morte, senza, drammaticamente, riuscirci? Possibile che non si possa fare nulla per temporeggiare? Cosa ancor più amara per la famiglia è, poi, il non poter riavere il corpo. Da morta, Maria, l’hanno vista solo in foto. Come impone probabilmente il protocollo della clinica, Maria avrebbe firmato per la sua cremazione. Ma Maria non è stata ancora cremata. Un cittadino italiano muore per eutanasia assistita all’estero, i familiari ne chiedono il corpo, possibile che lo Stato italiano non riesca a far nulla per riportarlo a casa? Del caso è già stata informata la Procura di Catania.

Condividi
Pubblicato da:
Redazione
Tag: suicidio assistito suicidio assistito paternò