Paternò, il fallimento del call center QÈ è stato “pilotato”: arresti e sequestri

Di Redazione / 05 Dicembre 2019
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CATANIA – Per la Guardia di Finanza è stato «uno dei dissesti aziendali che più ha impattato sul tessuto economico-sociale del territorio etneo». E infatti porto addirittura al licenziamento di oltre 200 lavoratori dipendenti e centinaia di lavoratori a progetto. Stiamo parlando del call center QÈ di Paternò, una vertenza che abbiamo seguito da vicino e un fallimento che mai ha convinto gli osservatori se si considera che l’azienda aveva importanti commesse di rilevanza nazionale tra le quali quelle di Enel Energia, Sky e Inps. 

Militari della Guardia di finanza di Catania in collaborazione con i colleghi di Brescia e Milano hanno eseguito oggi su delega della Procura della Repubblica del capoluogo etneo una ordinanza di misure cautelari – una agli arresti domiciliari ed una interdittiva – nei confronti di due persone nell’ambito delle indagini sul dissesto e sul fallimento della «QE’ S.R.L.» di Paternò. Agli arresti domiciliari è finito Patrizio Argenterio, di 64 anni, presidente del CdA ed amministratore, anche di fatto, della «QÈ S.R.L.» dall’aprile 2013 fino alla dichiarazione di fallimento. Divieto temporaneo per 6 mesi di esercitare ruoli direttivi di persone giuridiche e imprese per Mauro De Angelis, di 71, amministratore della «QE’ S.R.L.» dal luglio del 2015 fino al fallimento del 2017.

Le Fiamme Gialle hanno anche eseguito un decreto di sequestro preventivo per 2,4 milioni di euro emesso dal Gip. 

Il fallimento del call center paternese fu dichiarato nel giugno del 2017 dal Tribunale di Catania che certtificò, tra l’altro,  debiti erariali non assolti per circa 14 milioni di euro.

Secondo le indagini il dissesto finanziario della “QÈ S.R.L.” ebbe inizio nel 2012 quando il patrimonio netto non più esistente (saldo negativo di oltre un milione di euro) venne occultato dagli amministratori attraverso la redazione di bilanci fasulli al solo scopo di proseguire fraudolentemente l’attività. 

Eppure, la società di call center dal 2009, anno della sua costituzione, aveva usufruito anche di agevolazioni finanziarie e di crediti d’imposta riservati alle aziende localizzate nel Mezzogiorno per l’assunzione di lavoratori svantaggiati.

Ma le investigazioni condotte dal Gruppo Tutela Economia del Nucleo P.E.F. di Catania, sotto la direzione del gruppo di magistrati (G1A) specializzati nei reati fallimentari e tributari, hanno accertato che nel 2015, in pieno dissesto, dopo aver beneficiato di tutti i contributi e gli sgravi possibili concessi per l’insediamento in Sicilia dell’attività aziendale, i manager di QÈ hanno iniziato lo svuotamento delle casse sociali effettuando pagamenti e cessioni distrattive di beni a beneficio di imprese riconducibili direttamente alla cerchia degli indagati.

E così il deficit patrimoniale della società di Paternò, pari a oltre un milione di euro all’inizio del 2013, per effetto delle condotte di falso in bilancio, omessi versamenti di imposte e contributi previdenziali nonché distrazioni e pagamenti preferenziali, raggiungeva nell’ultimo bilancio approvato per l’esercizio 2015 un valore di oltre 7 milioni di euro.

Nello specifico, le Fiamme Gialle etnee hanno certificato una cessione dei beni aziendali (postazioni informatiche, arredi, apparati telefonici utilizzati per i servizi di call center) per un valore di 50.000 euro  a favore di una società milanese (Telesurvery Srl) operativa nel medesimo settore della QÈ. Hanno accertato anche “pagamenti preferenziali”, durante il dissesto e prima dell’apertura della procedura fallimentare, a favore di società riconducibili agli stessi manager dell’azienda – come la Yukti Srl di Brescia  e Zenith Srl di Manerbio (Brescia) -, il tutto a danno di lavoratori ed Erario le cui spettanze, per legge, andavano soddisfatte con precedenza. La Yukti ricevette un pagamento di 77.000 euro, la Zenith (amministrata dal figlio di Argenterio) ricevetta pagamenti per 337.961 euro. Terza società beneficiaria di un pagamento preferenziale di euro 55.200 per fornitura di servizi è la “Wave Contact Srl, ma il debityo nei confronti di questa società era maturato nel 2016, anno in cui la QÈ aveva sostanzialmente cessato la propria attività.

Da ultimo a beneficiare di un pagamento di 828.700 euro, in violazione della par condicio creditorum, è la “Di Bella Srl”,  locatore degli immobili utilizzati dal call center fallito. La Di Bella Srl era amministrata da Franz Di Bella, 41 anni, che tra l’altro era consigliere di amministrazione della stessa QE’ e quindi ben consapevole dello stato di dissesto in cui quest’ultima versava.

Queste operazioni finanziarie, che di certo hanno aggravato la situazione patrimoniale di QÈ, sono state possibili secondo gli investigatori «per effetto delle continue falsificazioni di bilancio poste in essere dagli indagati che, per tale via, celavano al mondo esterno la reale situazione economico-patrimoniale della QÈ».

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Redazione
Tag: bancarotta fraudolenta call center qè guardia di finanza di catania paternò patrizio argenterio