Il gip Antonella Consiglio ha disposto una misura cautelare per sei persone alle quali vengono contestati, a vario titolo, diversi episodi di vendita e cessione di droga a clienti della «Palermo bene». Tra gli indagati c’è Mario Di Ferro, gestore del ristorante Villa Zito, accusato nel provvedimento di aver procurato e ceduto cocaina, tra gli altri, all’ex presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè che però non è indagato. L’inchiesta è coordinata dal procuratore del capoluogo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido.
Il procedimento nasce da un’intercettazione disposta nell’ambito di un’altra indagine. Da qui la necessità degli investigatori di avviare gli approfondimenti che hanno poi rivelato che il ristoratore era protagonista di una intensa attività di vendita di cocaina a una selezionata clientela, attività che svolgeva nel suo locale divenuto un luogo di spaccio.
Si è arrivati così ad accertare diversi episodi di cessione di droga che l’indagato avrebbe realizzato con l’apporto di altre persone come Gioacchino e Salvatore Salamone, già condannati per spaccio in un processo sui traffici dei clan mafiosi palermitani. Di Ferro si sarebbe rivolto a loro per rifornirsi dello stupefacente e avrebbe anche usato tre suoi dipendenti come pusher. Sia i Salamone che i dipendenti sono indagati. A Di Ferro sono stati dati i domiciliari, ai Salamone la custodia cautelare in carcere, ai tre dipendenti di Villa Zito è stato imposto l’obbligo di firma.
Di Ferro fu sorpreso ad aprile a vendere cocaina all’ex funzionario dell’Ars Giancarlo Migliorisi, all’epoca nella segreteria tecnica del presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana Gaetano Galvagno. Interrogato dalla polizia Migliorisi, sospeso dopo che la vicenda divenne pubblica, spiegò di aver telefonato al ristoratore chiedendogli di riservargli un tavolo per tre persone per il pranzo.
«Ho fatto riferimento al fatto che avrei voluto realmente pranzare con tre persone presso il suo ristorante. Il riferimento alla tre persone è stato poi incidentalmente utilizzato come riferimento al numero di dosi che intendevo acquistare», disse alla polizia. E ammise di aver comprato cocaina da Di Ferro in passato ma sostenne di non sapere da chi questi si rifornisse.
Seguendo le mosse del ristoratore, però, gli investigatori erano già riusciti a risalire ai fornitori: Gioacchino e Salvatore Salamone, oggi finiti in cella. Entrambi erano già conosciuti dalle forze dell’ordine. Nel 2018, erano stati, infatti, coinvolti in una indagine sul riciclaggio del denaro che i clan mafiosi di Resuttana e di Porta Nuova ricavavano dai traffici di droga. Le riprese dei sistemi di videosorveglianza, depositate agli atti dell’inchiesta odierna, hanno immortalato più volte Di Ferro mentre consegnava il denaro ai due fornitori dopo aver preso lo stupefacente.
Sarebbe andato a prendere la cocaina con l’auto blu della Regione Siciliana, con tanto di lampeggiante acceso, l’ex presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè. E’ quanto risulta dall’indagine che ha portato all’arresto di Mario Di Ferro, presunto pusher del politico e gestore di un noto ristorante frequentato da professionisti, vip e politici palermitani.
«Prima di potere dire qualcosa devo capire cosa c’è nell’inchiesta in cui non sono indagato, ma
posso dire che sono dispiaciuto per Mario Di Ferro: è un caro amico che conosco e frequento da moltissimi anni. Andavo alla sue feste che erano sempre molto divertenti, frequentate da tantissima gente e dove non ho mai visto della droga» ha detto l’ex presidente dell’Ars e ex leader di Fi in Sicilia, Gianfranco Miccichè, all’ANSA, sull’inchiesta, in cui non è indagato, sul presunto giro di spaccio di sostanze stupefacenti a clienti della «Palermo bene».
«Escludo in maniera categorica – ha detto invece all’Adnkronos – che io mi muova in macchina con lampeggiante acceso. È un errore che ho fatto nella vita di cui sono pentito. Considero molto più importante nella mia vita di essere stato onesto, non avere mai fatto male a nessuno, non avere mai rubato un centesimo. Poi ognuno di noi qualche errore nella vita lo ha fatto. L’importante è essere a posto con la propria coscienza, ed io lo sono».
Sono le 22.23 del 18 novembre scorso. Gianfranco Miccichè, ex senatore di Forza Italia, chiama Mario Di Ferro, ristoratore palermitano arrestato oggi per aver ceduto cocaina, tra gli altri, proprio al politico, e gli dice che l’indomani sarebbe partito alla volta di Milano dove si sarebbe trattenuto per cinque giorni. Un gergo che, secondo gli inquirenti, indica le dosi che l’ex presidente dell’Ars avrebbe dovuto acquistare. Di Ferro secondo gli investigatori coglie il riferimento nascosto e si informa sull’orario del volo. Saputo che Miccichè sarebbe partito intorno alle due, l’indagato lo rassicura che sarebbe riuscito a farcela e gli dà appuntamento telefonico al mattino seguente «Vabbè, siete cinque, cinque giorni, va bene ciao» dice. Dove con i giorni, secondo l’accusa, i due parlano alle dosi. Subito dopo Di Ferro contatta il suo fornitore, Gioacchino Salamone, l’uomo dei clan mafiosi nel traffico di droga, che si impegna a fargli avere la cocaina. «All’una meno un quarto puntuale, da me al bar, va bene?», gli dice Di Ferro. Alle 13.55 Gianfranco Miccichè viene immortalato dalle telecamere di sorveglianza mentre arriva al ristorante Villa Zito. Scende, lascia il suo autista in attesa, entra e va via alle 15.20. Una scena che si ripete più volte secondo lo stesso copione tra novembre e dicembre del 2022. Come il 26 novembre. L’ex senatore sente Di Ferro al telefono e gli annuncia che sta arrivando. «Tra una mezzoretta vengo lì», dice. Alle 20.29 Di Ferro, in compagnia di Miccichè, chiama Salvatore Salamone e gli chiede di raggiungerlo «eh, avvicina», gli fa. Alle 20.43 Salamone, in bici, entra a Villa Zito dall’ingresso principale per andarsene poco dopo. E ancora il 30 novembre il sistema di videosorveglianza davanti all’ingresso secondario del locale riprende oltre all’arrivo del politico, anche il successivo incontro tra Di Ferro e Salamone che, dopo averlo atteso, alle 14.32 gli consegna una bustina, la sostanza stupefacente secondo i pm, attraverso il cancello.
Secondo l’accusa poi in una occasione, il 6 dicembre, Miccichè sarebbe andato a prendere la cocaina a casa di Di Ferro. Prima del suo arrivo il ristoratore ancora una volta avrebbe chiamato il fornitore dicendogli: «Verso le quattro devi avvicinare perché minchia siamo assai, qualche tredici siamo, hai capito?».
Sono una trentina le cessioni di droga che il ristoratore palermitano Mario Di Ferro, da oggi ai domiciliari, avrebbe fatto in favore di Gianfranco Miccichè. I due avrebbero usato un linguaggio in codice per parlare della vendita della cocaina: per indicare le dosi avrebbero fatto riferimento, ad esempio, al numero dei giorni in cui il politico si sarebbe dovuto recare fuori sede. Conversazioni che hanno subito insospettito gli inquirenti anche per l’inverosimiglianza delle frasi pronunciate. «Ma quanti giorni sono?» chiedeva Di Ferro nell’ambito di un discorso totalmente diverso e il politico rispondeva: «va beh uno, che c… ne so poi io». In altri casi, invece, il politico faceva riferimento al cibo. «Che mi puoi portare da mangiare”? chiedeva. E Di Ferro: «ci penso io».
Subito dopo aver parlato con l’esponente di Fi (dell’acquisito dello stupefacente sostengono gli investigatori) Di Ferro chiamava i suoi fornitori, Gioachino e Salvatore Salamone, che nelle sue conversazioni con l’ex senatore indicava come «rappresentanti» e ordinava loro la droga, che puntualmente gli veniva recapitata. A riscontro della tesi dell’accusa, tra l’altro, c’è la corrispondenza tra le criptiche indicazioni relative alle dosi presenti nelle conversazioni tra Di Ferro e l’ex senatore e ciò che poi l’indagato riferiva al suo fornitore. «Senti, dovresti avvicinare da me al locale, ma siamo assai, qualche dieci, siamo dodici, una cosa di queste siamo” diceva Di Ferro a Salamone dopo aver saputo da Miccichè che sarebbe mancato «dieci» giorni.
Molte le foto che immortalano Gioacchino Salamone mentre arrivava al ristorante di Di Ferro dall’ingresso secondario o mentre passava una busta, attraverso una grata del cancello, al ristoratore. Alla consegna, secondo un modus operandi frequente, seguiva l’arrivo di Miccichè immortalato dal sistema di videosorveglianza mentre si presentava al locale, a volte entrando anche lui dall’ingresso secondario, a bordo dell’Audi col lampeggiante acceso. Per l’accusa l’ex senatore sarebbe andato a ritirare la cocaina.