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Operazione Zeus, la scalata di Carmelo Di Stefano tra diplomazia mafiosa e sparatorie

Nelle 400 pagine dell'ordinanza dell'inchiesta Zeus scattata stamattina il piano ,del boss per riprendere in mano le redini del clan dei Cursoti Milanesi nonostante l'opposizione dei capi storici

Di Laura Distefano |

Non appena Carmelo Di Stefano, “pasta ca sassa”, mette i piedi fuori dal carcere riprende in mano le redini del clan dei Cursoti Milanesi. Ma, da come si legge nelle 400 pagine dell'ordinanza dell'inchiesta Zeus scattata stamattina, non avrebbe avuto la benedizione dei capi storici. Eppure, nonostante il dissenso dei boss in carcere, Distefano sarebbe riuscito a diventare il leader assoluto del gruppo mafioso – composto da due correnti – completamente azzoppato. Anche se il mafioso è già fuori dai giochi da due anni. E' stato infatti arrestato dopo lo scontro armato contro i Cappello avvenuto a Librino l'8 agosto 2020.

Eppure Distefano all'inizio avrebbe cercato le vie della diplomazia e non quella delle armi per risolvere le tensioni con i Cappello-Carateddi nate nel 2019 dopo la separazione tra Angelo Ragusa (altro indagato, ndr) e la sua compagna, che è figlia di Giovanni Pantellaro. Quest'ultimo, secondo le inchieste degli ultimi anni, è stato per un periodo addirittura il vertice dei Cappello. In questa diatriba, finita anche con l'uso delle armi, sono stati coinvolti uomini di rango delle due fazioni mafiose: per i Cursoti Milanesi oltre Carmelo Di Stefano, Francesco De Luca (detto Franco Rapanella) e Daniele Grasso (ritenuto uomo di fiducia di De Luca), mentre per i Cappello-Bonaccorsi Carmelo Zappalà, detto 'u tunnacchiu, e Carmelo Fazio, Melo 'u biduni.

 

Sono le intercettazioni a fornire un quadro – quasi in diretta – agli investigatori delle tensioni accumulate tra i due clan. La sorella di Ragusa preoccupata ha raccontato al suocero in carcere: “Siamo in mezzo ai guai”. C'è una vera escalation di violenza, con retroscena da film hollywoodiani: pedinamenti con tanto di litigi tra donne rivali, spedizioni punitive, aggressioni a “nipoti” di detenuti. La possibilità che potesse innescarsi una guerra era concreta. Con possibili omicidi. “Ohu stiamo attenti a mio marito, che qua sono ai Cappuccini, me lo lasciano a terra”, è la paura della nuora di Giovanni Gurreri (detto Zorro), vecchio militante dei Milanesi.

Alla fine tutto sarebbe stato risolto secondo termini stabiliti da Carmelo Di Stefano che non sarebbero stati graditi ai Ragusa. Ma davanti alle decisioni del capo non si potevano fare discussioni. “E' Melo il direttore della banda, non sei ne tu né nessuno… è Melo”. Una conversazione che dimostrerebbe – scrive il gip – “il palese riconoscimento del ruolo apicale rivestito” da Di Stefano.

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